Omicidio in Kosovo, una minaccia all’avvicinamento dei Balcani alla Ue

In Kosovo, dopo l’assassinio il 16 gennaio scorso del leader serbo Oliver Ivanovic, anche la battaglia della Piana dei Merli del 1389, combattuta tra Serbi e Ottomani, torna dalla nebbie del passato per rinnovare antichi odii. Nella memoria collettiva del popolo serbo, la battaglia della Piana dei Merli rappresenta “l’evento fondativo” dell’identità nazionale. Peccato che la Piana oggi sia in territorio kosovaro, cioè fuori dai confini dell’attuale Serbia e che Belgrado non abbia mai riconosciuto l’indipendenza della ex provincia.

Come se non bastasse in un Kosovo che ribolle la vigilanza internazionale è affidata alla forza di pace speciale chiamata Kfor, sotto comando italiano. Il governo italiano ha buoni rapporti con le due parti in causa, sia con Belgrado che con Pristina, ma questa fase di stabilità è oggi messa a dura prova dopo il delitto politico del serbo Oliver Ivanovic, un evento che minaccia l’armistizio raggiunto e la stabilità in tutta la ex Yugoslavia e nei Balcani.

Possibile? Pare proprio di sì. L’assassinio di Oliver Ivanovic, leader dell’ala moderata della minoranza serba in Kosovo, potrebbe riaprire la stagione delle faide inter-etniche. I kosovari accusano i serbi nazionalisti e i nazionalisti kosovari viceversa. La Serbia ha interrotto le trattative col governo kosovaro in corso a Bruxelles. E il presidente serbo,  Alexandar Vucic, ha convocato il Consiglio di sicurezza nazionale.

Ivanovic è stato assassinato nella città di Mitrovica, in territorio kosovaro e abitata da una forte componente serba. “E’ un delitto terroristico diretto contro il popolo serbo”, hanno detto fonti a Belgrado.

Secondo la Commissione di Bruxelles la Serbia e il Montenegro saranno probabilmente i prossimi paesi ad aderire all’Ue, forse entro il 2025, ha detto in un’intervista il commissario responsabile del processo di allargamento.

L’Ue sta lanciando uno sforzo diplomatico per accelerare le iniziative per portare sei paesi dei Balcani occidentali nell’Ue, dopo anni di stop and go. “È ora di finire il lavoro del 1989”, ha detto alla Reuters il commissario europeo Johannes Hahn, riferendosi all’espansione verso est dell’Ue dopo la caduta del muro di Berlino. Ipotesi complessa visto i maldipancia dei paesi di Visegrad e che l’integrazione si intreccia all’allargamento Nato, passo che la Serbia, molto legata alla Russia di Vladimir Putin e che subì negli anni 90 i bombardamenti Nato fino alla caduta di Milosevic, non accetterà facilmente.

“Abbiamo fissato il 2025 come data indicativa per Serbia e Montenegro, che è realistica ma anche molto ambiziosa”, ha reso noto il commissario Hahn. Il presidente serbo Vucic e la prima ministra Ana Brnabic puntano a un ingresso della Serbia nella Ue e ai suoi fondi di coesione. Vucic e la Brnabic ufficialmente escludono un riconoscimento del Kosovo, che era provincia serba ai tempi della Yugoslavia di Milosevic.

I sei candidati

Albania, Bosnia, Kosovo, Macedonia, Montenegro e Serbia sperano tutti di entrare nell’Ue ma hanno visto le loro opportunità di adesione affievolirsi negli ultimi anni con i politici dell’Unione sempre più in difficoltà di fronte all’aumento dell’euroscetticismo in patria, alla crisi della zona euro ed all’esito del referendum su Brexit.

Bruxelles è però preoccupata dalla crescente influenza russa nell’area, della crisi migratoria che attraversa la regione, della deriva autoritaria turca. L’occasione di rilancio europeo, secondo la Commissione, potrebbe passare proprio dai Balcani. “O esportiamo la stabilità nella regione o importiamo l’instabilità”, ha detto il commissario Hahn, sostenendo che il processo di adesione dell’Ue è il modo migliore per combattere corruzione, criminalità organizzata e la minaccia di autoritarismo nella regione.

La Serbia in questo quadro è vista come il fulcro e l’Ue spera che l’influenza di Belgrado nei Balcani possa aiutare gli altri paesi a riformarsi.

Hahn visiterà la Serbia a febbraio dopo aver pubblicato la strategia ufficiale dei Balcani della Commissione il 6 febbraio, seguita dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, che dovrebbe visitare tutti e sei i paesi in un gesto di solidarietà. Hahn poi si recherà anche a Washington il mese prossimo per incontrare i funzionari del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti per delineare la politica Ue nei Balcani e contrastare l’influenza russa.

Con la vicina Bulgaria che detiene attualmente il semestre di presidenza Ue, i leader dell’Unione terranno uno speciale vertice sui Balcani a Sofia a maggio.

L’ultima chiamata

Un altro segno di rinnovato interesse per la regione potrebbe essere l’offerta alla Macedonia di un invito ad unirsi alla Nato se fosse in grado di risolvere una controversia con la Grecia sul nome della ex Repubblica iugoslava. Il commissario Hahn ha detto di essere fiducioso che il problema potrebbe essere risolto in seguito ai colloqui delle Nazioni Unite in corso. Anche il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, in visita in Macedonia mercoledì prossimo, ha detto di sperare di risolvere il problema del nome.

Gli ostacoli sul cammino di adesione all’Ue tuttavia abbondano.I sistemi bancari e giudiziari dei sei paesi dei Balcani sono molto fragili e i redditi medi nella regione sono il 30% inferiori rispetto a quelli della zona euro, secondo il Fmi. La regione è ancora segnata dai conflitti etnici che seguirono la disgregazione della Jugoslavia negli anni ’90.

La Bosnia rimane profondamente divisa. La Serbia non riconosce l’indipendenza del Kosovo, sua ex provincia, e la accusa di cercare la guerra con Belgrado. Il Montenegro è stato impantanato in una crisi politica per gran parte del 2017.

La strategia dell’Ue punta sul fatto che la Serbia e il Kosovo possano raggiungere una “normalizzazione delle relazioni” entro la fine del 2019.

Il commissario Hahn ha ammesso però che l’uccisione del leader serbo del Kosovo Oliver Ivanovic ha mostrato l’estrema instabilità della regione. “Spero che questo sia un campanello d’allarme per i politici e chiedo – ha concluso –  ai governi di capire che solo la cooperazione e la riconciliazione sono l’unica via da seguire”.