Iran, il regime spara sulla folla che chiede le dimissioni di Khamenei, assaltate le sedi dei Pasdaran

La protesta in Iran si incattivisce e provoca le prime vittime tra i dimostranti anche se non è possibile verificare le fonti. Oggi nel centro del Paese, a Doraud, nella provincia di Loerstan, si sono registrate le prime vittime delle proteste: secondo quanto riferiscono fonti locali, almeno sei persone sono state uccise e diverse altre ferite quando la Guardia Repubblicana ha sparato per disperdere una manifestazione. Cosa faranno ora i dimostranti? Secondo fonti non confermate provenienti dall’Iran i dimostranti avrebbero assaltato alcune sedi dei pasdaran, i guardiani della Rivoluzione utilizzando del  materiale infiammabile . E ora cosa faranno i riformisti al governo con il presidente Rouhani? Riusciranno ad evitare la trappola i cui i falchi del regime li vogliono condurre con scontri di piazza e repressione poliziesca così da mettere fine alla stagione di liberalizzazioni e accordi con l’Occidente? Di certo c’è che i dimostranti in piazza da tre giorni , puntano al bersaglio grosso, quando hanno chiesto le dimissioni della Guida suprema Ali Khamenei, il successore del fondatore della Repubblica islamica, l’ayatollah  Khomeini, nel 1979.

L’Università di Teheran è un luogo simbolo per il movimento dell’Onda verde. Nel 2009, chi scrive era testimone oculare degli eventi insieme a un solo altro giornalista occidentale, quando gli studenti riformisti  fecero forza con una testugine umana su quel cancello all’ingresso principale per far entrare Mahdi Karrubi, uno dei leader riformisti, che dopo lunghe trattative con il rettore conservatore dell’Ateneo e i guardiani interni riuscì ad entrare nella moschea dell’Università e lì fece il suo comizio politico.

Così dopo due giorni di decise proteste contro il carovita e l’inflazione galoppante in diverse città iraniane, oggi a Teheran alcune centinaia di studenti sono scesi nelle vie intorno all’università (come testimoniano alcuni video) unendosi alle contestazioni. E’ un segnale simbolico importante, come se gli studenti tornassero ad occupare l’Università statale di Milano o La Sapienza di Roma. Ci sono luoghi che sono simboli per eccellenza, e l’Università di Teheran è uno di questi nella cosmologia dell’Iran komeinista. Un Paese dove gli studenti radicali hanno fatto spesso la storia del paese come quando nel 1979 occuparono l’ambasciata americana di Teheran e sequestrarono i diplomatici e i funzionari per 444 giorni. Una ferita mai rimarginata tra i due paesi che hanno relazioni diplomatiche in loco tramite l’ambasciata svizzera a Teheran.

Nel contempo però, sia nella capitale che in altre località decine di migliaia di persone hanno organizzato manifestazioni a favore dell’attuale governo e del presidente riformista Hassan Rouhani.
A fronte di un dispiegamento di polizia imponente, finora gli arresti però hanno coinvolto solo  una cinquantina di persone, mentre la diatriba interna si è velocemente spostata sul piano politico, in particolare contro il “Grande Satana”,  gli Stati Uniti, secondo la famosa definzione di Komeini il fondatore della teocrazia sciita.

Di buon mattino infatti, il presidente americano Donal Trump attraverso la portavoce della Casa Bianca ha twittato: “Il governo iraniano dovrebbe rispettare i diritti del suo popolo, compreso il diritto di espressione. Il mondo sta guardando”. E ha citato le proteste pacifiche di cittadini iraniani stanchi della corruzione del regime e dello sperpero delle ricchezze nazionali per finanziare
il terrorismo all’estero”.
“Dichiarazioni ingannevoli, ipocrite e opportunistiche”, ha commentato poche ore dopo il portavoce del ministro degli Esteri
iraniano, Bahram Gashemi. Che ha invitato “il popolo iraniano a non dare credito alle critiche espresse dal signor Trump o dai
suoi funzionari”. Nessun accenno, per ora, da parte di Teheran al fatto che la situazione di criticità economica per settori
della popolazione iraniana è in parte causata proprio dall’atteggiamento degli Usa e dal persistere di alcune sanzioni, volute da Trump nonostante l’accordo nucleare siglato dal suo predecessore Barack Obama nel 2015 e che l’America dell’attuale presidente Usa vorrebbe cancellare.

Propagandato dalla tv di stato invece, l’invito agli iraniani a non partecipare a “raduni illegali”. Secondo numerosi osservatori ‘l’invito’ è diretto a intellettuali e borghesia illuminata che rimproverano al presidente Rouhani di non aver ancora realizzato le sue promesse su diritti civili, diritti politici e diritti umani. Numerosi sono gli iraniani delusi dal fatto di non avere ottenuto benefici dall’accordo del 2015 sul nucleare, che ha permesso la revoca di sanzioni internazionali che colpivano la Repubblica Islamica. Insomma non sono ancora arrivati i benefici promessi.
Un monito però anche a quella parte iper-conservatrice del Paese che rimpiange la presidenza di Mahmoud Ahmadinejad e che,
sempre oggi, ha voluto festeggiare la sua rielezione a presidente nel 2009. Otto anni fa Ahmadinejad riuscì a sconfiggere la piazza e i candidati moderati di allora, Mirhossein Mousavi e Mahdi Karrubi, ancora agli arresti domiciliari.
Dopo anni sottotono, ora molti ritengono che ci sia anche lui dietro agli attuali problemi economici di Rouhani. Ahmadinejad
ha infatti avviato una sorta di sotterranea campagna elettorale in vista delle presidenziali del 2020, diffondendo dichiarazioni
pubbliche e messaggi sui social network che criticano la situazione del Paese e anche la magistratura, rea di aver fatto
finire in carcere persone a lui vicine per corruzione e reati finanziari.