Non c'è mai un momento di pausa. A Davos i grandi della terra e dell'economia, dopo aver superato l'anno scorso la paura della rottura dell'euro, ora pensano che un possibile fronte di crisi possa venire dai mercati emrgenti a causa del tapering della Fed e degli squilibri della bilancia delle partite correnti.
Gli Stati Uniti hanno ripreso la corsa come locomotiva globale, ma altri paesi sono in affanno. Preoccupa soprattutto la Cina in frenata e indecisa tra soft landing e hard landing, il Brasile senza una direzione chiara e l'India che dovrà affrontare a breve le elezioni politiche in una situazione di incertezza economica crescente.
Se la Cina dovesse rallentare diminuirà la domanda di materie prime e potrebbero crollare i prezzi delle commodities, come il rame, ad esempio. Così saranno dolori per il Cile, grande esportatore di questo metallo.
La situazione degli emergenti è così fragile (non c'è volontà di fare le riforme strutturali necessarie) che alcuni a Davos come la società Deloitte prevede una sorta di re-industrializzazione dell'Occidente. Insomma la globalizzazione torna a casa.
Le grande società multinazionali di generei di largo consumo sono proccupate di possibili rivolte sociali nei grandi paesi emergenti a causa delle enormi disparità economiche, come è già avvenuto l'anno s orso in Turchia e in Brasile. Certo preoccupano anche l'aumento di popolarità degli estremismi in Europa, ma quest'anno a Davos sono gli emergenti i sorvegliati speciali. L'Argentina e la sua crisi valutaria potrebbe essere solo il campanello d'allarme di una nuova crisi simile a quella che nel 1997 colpì i mercati emergenti.