Iran in fiamme: le proteste di piazza arrivano a Teheran, torna Ahmadinejad contro Rouhani

Le proteste in Iran hanno raggiunto la capitale, Teheran dopo che sono partite da altre città iraniane. I dimostranti  protestano contro il caro vita ma ora le manifestazioni stanno prendendo sempre di più una svolta politica che coinvolge lo stesso presidente Hassan Rohani, un riformista sostenuto anche dai seguaci dell’ex presidente Mohammad Khatami, che ha invitato i cittadini a non farsi strumentalizzare. Ma che sta succedendo davvero in Iran che non vede proteste di piazza dal 2009.
La situazione sembra sfuggita di mano al regime che per ora è diviso sulla linea da seguire (falchi contro colombe) per fronteggiare la crisi:  gruppi di manifestanti si sono raccolti a Teheran, Qom, Isfahan, Mashad, Kermanshah e altre città per protestare contro le politiche economiche del governo di Rohani, a seguito di quelle che ieri avevano interessato Mashad e la regione orientale del Khorasan.
“Abbasso il carovita”, “Abbasso Rohani”, “Abbasso il ditttatore”, alcuni degli slogan gridati nelle piazze, ma anche “Fuori dalla Siria, pensate a noi” o “No Gaza no Libano, io dedico la mia vita all’Iran“: espressioni che danno sfogo al malcontento di chi critica le risorse spese nelle crisi regionali invece che nel benessere del Paese. Proteste diffuse che hanno dato luogo per il secondo giorno consecutivo ad alcuni arresti ma non ad azioni repressive paragonabili a quelle del movimento dell’Onda Verde del 2009 contro la rielezione a presidente di Mahomud Ahmadinejad, quando erano scesi in campo contro i dimostranti anche i Basiji, i temibili volontari dei Guardiani della rivoluzione che si macchiarono di episodi di violenza efferata contro i dimostranti.
La protesta dopo 8 mesi venne stroncata con centinaia di arresti e condanne al carcere. I leader delle proteste dell’epoca, Karoubi e Moussavi, sono ancora agli arresti domiciliari.

Il vice presidente Ishaq Jahangiri ha fatto appello ai cittadini a non dare retta a sospetti inviti a manifestare. “Con il pretesto dei problemi economici vogliono solo danneggiare il governo” ha detto l’esponente riformista, aggiungendo che, se qualcuno fa partire un movimento di protesta, non è detto che poi riesca a controllarlo.
Le proteste originano da problemi economici reali che si sono aggravati con le sanzioni,  da recenti aumenti dei prezzi, alla disoccupazione, ma cadono in un momento di particolare difficoltà politica per Rohani: quando ancora non era riuscito a trasformare in vantaggi effettivi per l’economia il successo politico dell’accordo sul nucleare concluso con l’ex presidente Usa Barack Obama, il successore di quest’ultimo Donald Trump ha imposto nuove sanzioni all’Iran e dichiarato guerra aperta a quell’accordo, come al rafforzato ruolo di Teheran – proprio grazie all’impegno in Siria e in Iraq contro l’Isis – sul piano regionale.
Abituato ad essere sempre criticato dagli ultraconservatori, che guardano alla Guida suprema, ora Rohani si trova nel mirino
anche dei riformisti radicali, delusi per gli scarsi risultati ottenuti sul piano interno: dall’economia ai nodi mai risolti
delle libertà personali e politiche. Ma che gli attacchi giungano prevalentemente dai falchi conservatori e ultrareazionari   emergerebbe anche dal fatto che sia la tv che i media conservatori insistono proprio sui problemi economici, mentre prima la linea ufficiale era sempre stata che l’economia iraniana andava bene nonostante le sanzioni internazionali.
Un altro elemento nuovo è rappresentato dalla ricomparsa dell’ex presidente Ahmadinejad, al cui governo molti imputano le
origini degli attuali problemi economici di Rohani. Ahmadinejad ha avviato una sorta di sotterranea campagna elettorale in vista
delle presidenziali del 2020, diffondendo dichiarazioni pubbliche e messaggi sui social network che criticano la
situazione del Paese e anche la magistratura, rea di aver fatto finire in carcere persone a lui vicine per corruzione e reati
finanziari.

L’ex presidente, accusato di brogli nel 2009 dall’opposizione,  si è anche spinto a criticare in modo indiretto lo stesso Khamenei, la Guida suprema, che pur l’aveva sostenuto per entrambe le elezioni del 2005 e del 2009. Al punto che la Guida suprema ha risposto di recente dicendo che coloro che hanno retto il paese per quasi un decennio non hanno ora il diritto di tornare facendo la parte dell’opposizione. Una situazione di grande confusione politica e sociale che sembra una resa dei conti tra fazioni opposte all’interno del regime degli ayatollah che pare giunto a un punto di svolta.