“Il governo sembra essere ancora concentrato su misure a breve termine, a scapito di una politica monetaria efficace e di riforme economiche fondamentali”, ha detto dura Moody’s. In un contesto istituzionale negativo, la posizione esterna, il debito e le esigenze di rinnovo dei bond in scadenza della Turchia hanno continuato a deteriorarsi, ha scritto l’Agenzia internazionale.
Il downgrade è stato in gran parte assorbito dai mercati finanziari turchi. Moody’s aveva già tagliato il rating della Turchia a un rating di non investment grade a Ba1 nel settembre 2016 a seguito di un fallito colpo di stato, che ha minato la fiducia degli investitori nei confronti di quello che un tempo era considerato uno dei mercati emergenti più promettenti al mondo.
Un banchiere di investimento ha descritto il downgrade come uno “sviluppo a sorpresa” che potrebbe esercitare una certa pressione sui mercati turchi, sebbene abbia fatto notare che non vi è alcuna differenza fondamentale tra un rating Ba1 e Ba2.
“Penso che questa decisione rifletta il corso delle relazioni tra Turchia e Stati Uniti, dal momento che non siamo in una posizione diversa in senso economico da dove eravamo un anno fa”, ha detto il banchiere alla Reuters, che ha rifiutato di essere identificato.
Le relazioni tra gli alleati della Nato sono diventate sempre più tese per una serie di questioni, tra cui il sostegno degli Stati Uniti a una milizia curda siriana che Ankara considera un gruppo terroristico e la condanna di un dirigente di una banca statale turca in un caso di non rispetto delle sanzioni economiche decise verso l’Iran da parte degli Stati Uniti.
Il downgrade non ha creato, per ora, grossi scossoni nei mercati turchi. La lira è scesa leggermente ma il rendimento dei titoli benchmark a 10 anni è però salito al 12,28%. Segno che se Erdogan dovesse continuare con questa politica neo-ottomana di scontro con Washington e i vicini dovrebbe mettere in conto l’aumento dei rendimenti. Ma Erdogan è quello che aveva detto ai tempi della protesta di Gezi Park che i mercati erano manovrati solo dagli speculatori. “I rischi citati non sono nuovi per il mercato e l’attenzione si concentra principalmente sul sentimento di rischio globale piuttosto che sugli sviluppi locali”, ha detto lo stratega BNP Paribas TEB, Erkin Isik.
RISCHIO DI SCOSSE ESTERNE
Moody’s ha anche fatto riferimento al “maggiore rischio di uno shock esterno che si sta cristallizzando, dati gli ampi deficit del conto corrente del paese, un debito estero più elevato e grandi richieste di rollover dei bond associate nel contesto di maggiori rischi politici”. Insomma in un contesto di aumento dei tassi Usa e fine del Qe della Bce i richi dei paesi emergenti indebitati e con bassa crescita tornerebbero ad essere più significativi. Inoltre mercoledì la banca centrale turca ha mantenuto costanti i tassi d’interesse e ha dichiarato che manterrebbe la politica monetaria espansiva anche di fronte all’inflazione a due cifre. Una assurdità economica.
Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha però ripetutamente chiesto la riduzione dei tassi per rilanciare l’economia, aumentando la preoccupazione degli investitori per la forte pressione politica sulla banca centrale.
Erdogan ha criticato le decisioni delle agenzie di rating e ha accusato Moody’s di fare una mossa politica come con il suo precedente downgrade nel 2016. “Metti qualche centesimo in tasca e ottieni il voto che vuoi, è così che funzionano”, disse sprezzante all’epoca.
Moody’s ha detto che l’erosione delle istituzioni esecutive della Turchia è continuata con la purga generalizzata seguita al fallito colpo di stato del luglio 2016. Successivamente è stato imposto uno stato di emergenza che rimane in vigore.
Tra le altre agenzie, Standard & Poor’s ha un rating sovrano BB sulla Turchia, in linea con il rating di Moody’s. A gennaio dello scorso anno Fitch ha declassato la Turchia a “junk” con un rating di BB +, un livello più alto di Moody’s e S&P.
La Turchia dipende dai flussi di investimento per finanziare il suo disavanzo delle partite correnti, uno dei più grandi del G20, e servire così il suo debito estero. I downgrade di rating potrebbero costringerla a pagare di più per prendere in prestito denaro nei mercati internazionali. L’anno scorso, il deficit delle partite correnti turche è aumentato a 47,1 miliardi di dollari, superando l’obiettivo del governo. Non un segnale incoraggiante.