Turchia, Erdogan difende la causa palestinese per migliorare nei sondaggi ma intanto manda a picco la lira

Recep Tayyip Erdogan, alla vigilia di un voto presidenziale che lo vede al 42% dei sondaggi e quindi sotto la soglia del 51% per evitare lo schiaffo del ricorso al ballottaggio con un candidato che diventerebbe quello di tutta l’opposizione riunita, ha deciso di vestire i panni del difensore dei diritti del mondo islamico. Perché?  Per raccogliere più voti possibili di quell’area conservatrice e religioso che, dopo 16 anni ininterotti al potere del partito filosilamico Akp, ha voltato le spalle a Erdogan ritenendolo la causa delle troppe turbolenze politiche ed economiche in cui ha trascinato il paese della Mezzaluna sul Bosforo.

Erdogan è un giocatore d’azzardo, ma questa volta forse sta esagerando con le provocazioni e i bluff. Così, come avvenne in passato con la vicenda della nave turca Mavi Marmara che tentava di forzare il blocco su Gaza e che venne assalita dai commandos israeliani provocando nove morti turchi, la tensione tra Ankara e Tel Aviv è tornata subito incandescente. L’ambasciatore israeliano in Turchia Eitan Naeh è stato convocato al ministero degli Affari esteri turco ad Ankara e gli è stato chiesto di lasciare il paese “a causa dei morti” a Gaza.

L’ambasciatore Naeh era stato convocato per protestare contro l’uccisione di circa 60 manifestanti palestinesi a Gaza. Secondo l’agenzia statale turca Anadolu, i funzionari del ministero degli Esteri di Ankara gli avrebbero detto che “sarebbe appropriato che lui torni nel suo Paese per un po’ di tempo”, senza specificare una scadenza. Nella tarda serata, il governo turco aveva già richiamato per consultazioni i suoi ambasciatori in Israele e negli Stati Uniti.

Insomma Erdogan ha preso lo stendardo della difesa della causa dei palestinesi per assumere un ruolo internazionale e cercare di migliorare i consensi tra i 60 milioni di elettori che il 24giugno saranno chiamati alle urne per rinnovare il parlamento e il presidente con nuovi poteri esecutivi.

 

Le mosse economiche

Ma mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan parlava a Bloomberg tv a Londra, nel corso di una visita ufficiale di tre giorni in Gran Bretagna, la lira turca ha toccato il nuovo minimo storico di 4,4045 lire contro il dollaro, a causa di pesanti affermazioni che hanno fatto tremare gli investitori internazionali.

 

Con la lira turca al minimo storico contro il dollaro e in calo quest’anno contro tutte le 17 valute principali tracciate da Bloomberg, Erdogan ha detto alla Bloomberg TV di Londra che dopo il voto trasformerà la Turchia in un sistema presidenziale completo, e che si aspetta che la banca centrale presterà attenzione ai suoi richiami per tassi di interesse più bassi. Un chiaro segnale di attacco all’autonomia della banca centrale stessa che invece dovrebbe alzare i tassi per cercare di frenare la caduta della valuta. Il tasso di riferimento della banca centrale è ora del 13,5%, rispetto al 10,9% dell’inflazione dei prezzi al consumo.

“Anche la sola minaccia di interferenze politiche nel fissare i tassi di interesse danneggerà l’economia turca – ha dichiarato Durmus Yilmaz, governatore della Banca centrale turca dal 2006 al 2011 e ora consulente di un partito di opposizione di nuova formazione, lo IYI Parti, il Buon partito, della signora Aksener, ex ministro degli Interni turco.

“Questa retorica è estremamente pericolosa e metterà la Turchia in una strada senza uscita”, ha detto Yilmaz in un’intervista rispondendo alle osservazioni di Erdogan. “La Turchia ha provato esattamente la stessa vicenda nel 1994 ed è così che siamo finiti con una crisi in cui i tassi di interesse, che all’epoca i politici ritenevano troppo alti, hanno superato il 400%”. Solo un governo tecnico alla fine rimise i conti in ordine e diede stabilità al paese dopo una attenta pulizia nei conti bancari. Ma la lezione è stato presta dimenticata.

 

Per le banche turche il deprezzamento della lira è, secondo l’agenzia di rating Moody’s, un credito negativo perché la prolungata debolezza della valuta, combinata con l’elevata inflazione interna della Turchia che viaggia all’10,9%, probabilmente aumenterà il numero dei prestiti problematici (NPL).

Non solo. La svalutazione della lira porterà a maggiori oneri per perdite su crediti che ridurranno la redditività e il coefficiente patrimoniale delle banche locali.
Un fatto problematico per il paese della Mezzaluna poiché il 33% dei prestiti bancari della Turchia alla fine del 2017 erano denominati proprio in valuta estera, principalmente in dollari USA ed euro per utlizzare i tassi più bassi, ma se il tasso di cambio della lira rispetto al dollaro dovesse rimanere pari o superiore al minimo storico toccato di 4,40  contro il dollaro i crediti problematici potrebbero subire una impennata pericolosa.

Come mai? Un costante deprezzamento della lira potrebbe ridurre la capacità di rimborso delle società turche indebitate in valuta estera e senza copertura assicurativa ma con entrate in valuta locale svalutata.

Inoltre l’inflazione è al galoppo: 10,9% a marzo 2018 rispetto all’obiettivo del 5% della banca centrale. Gli analisti di Moody’s, che hanno abbassato il rating del paese in sintonia alle altre due agenzieinternazionali, prevedono che il deprezzamento della lira aumenterà l’inflazione, erodendo la redditività delle imprese e il potere d’acquisto dei consumatori e, infine, aumentando i prestiti problematici.

In effetti il deficit delle partite correnti è arrivato a 47,2 miliardi di dollari (5,6% del Pil) rispetto ai 33,1 miliardi (3,6% del Pil) dell’anno precedente. Inoltre le riserve valutarie ammontano a soli 87,9 miliardi di dollari. Questo dato si deve rapportare con un fabbisogno finanziario estero pari, secondo dati EIU, a 222 miliardi di dollari nel 2018. Insomma le imprese turche rischiano di dover pagare un conto salato per l’instabilità valutaria del Paese della Mezzaluna sul Bosforo e per una politica monetaria troppo espansiva dettata a soli fini elettorali interni. Erdogan e la sua volontà di decidere su tutto, tassi compresi, potrebbe trasformare un miracolo economico in un incubo sul Bosforo.