Polonia, la lunga guerra tra le due anime di Solidarnosc

La Polonia, un tempo allievo modello europeo, con l’approvazione delle leggi illiberali contro l’autonomia della magistratura, si allontana sempre più da Bruxelles e i suoi valori. Come è possibile? Per rispondere a questa domanda bisogna fare un passo indietro di 28 anni e tornare nella Varsavia del generale Jaruselki dove il regime comunista sta vacillando sotto i colpi di Solidarnosc. Ma fin dall’inizio ci sono due anime nel primo sindacato libero nel mondo comunista, due visioni che si sono combattute senza esclusioni di colpi dopo la vittoria sul regime.
La prima visione è quella liberale guidata dai quattro leader di Solidarnosc, Walesa, Kuron, Michnik e Geremek, coloro che sconfissero il comunismo polacco. La seconda anima è quella populista, conservatrice e tradizionalista dei gemelli Lech e Jarosław Kaczyński, allora in minoranza e oggi in vantaggio in questo scontro trentennale. All’inizio uniti contro il regime ai tempi degli scioperi nei cantieri navali di Danzica le due visioni si scontrano una prima volta con la Tavola rotonda che nel 1989 apriva al passaggio morbido al nuovo sistema democratico liberale. Nel luglio 1989 con uno articolo pubblicato su Gazeta Wyborcza intitolato “Il vostro presidente, il nostro premier” Minchnik apriva la via al primo governo non comunista dal 1947 in Polonia. Il moderato Tadeus Mazowieki venne preferito a Bronislaw Gieremek e a Jacek Kuron. I liberisti di Solidarnosc ottennero che Leszek Balcerowicz diventasse ministro delle Finanze dove attua la shock therapy, il passaggio dall’economia pianificata a quella di mercato. Balcerowicz libera energie e potenzialità ma fa anche schizzare le diseguaglianze sociali.
In quell’occasione l’anima cosmopolita e liberale vinse su quella reazionaria. Ma era solo il primo punto di un lungo scontro.
Il secondo round si ebbe nel 2005 con le legge definita «Lustracija» che obbligava i professori, dipendenti pubblici e giornalisti polacchi a una dichiarazione illiberale (pena il licenziamento) di non aver mai partecipato o sostenuto il precedente regime comunista con gli archivi della ex democrazia popolare pronti a smentire dichiarazioni mendaci con una caccia alle streghe pronta all’uso. Nel 2007 il liberale Donald Tusk (oggi presidente del Consiglio europeo con l’unico voto contrario del suo governo polacco), l’allora leader della Piattaforma civica, sconfitto due anni prima dall’allora presidente della Repubblica Lech Kaczynski, poi morto tragicamente in un incidente aereo, si prese la rivincita sulla controversa legge della lustracija. Tusk fu tra i primi insieme a Gieremek a dichiarare pubblicamente il suo rifiuto di compilare l’autodenuncia. Ma la sfida non era giunta ancora al culmine: recentemente Jarosław Kaczyński ha lanciato la battaglia per mettere sotto il controllo del ministro delle Giustizia la corte costituzionale. Una norma illiberale che manda su tutte le furie Bruxelles la cui commissione chiede le sanzioni per l’articolo 7, procedura mai chiesta prima che potrebbe togliere il diritto di voto alla Polonia. Ma come siamo giunti a questo punto ha chiesto Slawomir Sierakowski ad Adam Michnik a cui ha pure rimproverato di non aver mai parlato della povertà delle province”. Michnik si è difeso affermando che “Ora trascorro molto più tempo a Tarnowskie Góry, Piła e Zielona Góra”, le aree più depresse del Paese baltico. Sierakowski ha incalzato l’intellettuale: “Di fronte alla politica del partito Diritto e Giustizia che ha offerto un bonus di 500 zloty (135 euro) per ogni secondo figlio, incrementato il salario minimo e introdotto medicine gratuite per i pensionati, che sono le maggiori prestazioni sociali nella storia polacca, perché gli avversari di Kaczyński non hanno proposto politiche simili?”. “Anch’io mi sono chiesto perché il precedente governo non abbia trovato il giusto linguaggio per raggiungere gli elettori che hanno accolto con favore il programma “500+”, e non ho una risposta. Penso che molte delle persone di cui mi chiede, gli ex dissidenti, pensavano che riguadagnare la nostra libertà e la nostra sovranità, il nostro ingresso nell’Unione europea e nella Nato fosse un valore fondamentale per chiunque. Ma così non è stato”, ha risposto Minchnik.
Pochi hanno previsto la marea euroscettica montante sul Baltico. Quando Bronislaw Geremek, figura chiave di Solidarnosc, il 13 luglio 2008 muore in un incidente d’auto a 76 anni, l’allora presidente Ue Barroso rilascia una nota di cordoglio. “Geremek, medievalista, ministro degli Esteri tra il 1997 e il 2000 e dal 2004, euro parlamentare nel partito dell’Alleanza dei democratici e liberali per l’Europa, era un europeo di grandezza eccezionale – affermò Barroso – per tutta la sua vita ha dato prova di coraggio politico senza concessioni”. L’allora presidente della Commissione in quell’occasione disse di sperare che “le generazioni future si ricordino di Bronislaw Geremek come di un esempio di spirito libero”. Non è andata così. La lezione di Geremek è andata perduta e nonostante il fiume di miliardi di fondi europei Varsavia si allontana dall’acquis comunitaire.
Karol Modzelewski in uno scritto per MicroMega “Le mie due Polonie” ritiene che l’anima populista di destra di Solidarnoc rappresentata da Jaroslaw Kaczynski ha sempre considerato che “con il governo Masowieski non vi sia stato affatto il crollo del comunismo e la nascita della democrazia bensì solo un accordo tra l’élite post-comunista con l’élite post-Solidarnosc che ha portato a una oligarchia che ha trasformato l’economia e l’organizzazione sociale a scapito della “vera Polonia”, secondo le volontà dei governi occidentali e del capitale straniero”. Chi deve salvare l’anima profonda polacca è il partito di Kaczynski Diritto e Giustizia che conta su padre Tadeusz Rydzyk e la sua Radio Maryja, in grado di mobilitare i sostenitori cattolici nelle parrocchie rurali ed nelle aree operaie un tempo roccaforti di Solidarnosc. No, la storia sul Baltico, non è finita. O come dice Lech Walesa “i vecchi demoni si stanno svegliando”.