La politica estera è completamente assente dalla campagna elettorale italiana: siamo ormai solo gli eredi di una grande storia passata e una nazione introiettata solo sui suoi problemi domestici e quindi incamminata verso il declino? Non credo, ma le forze politiche, parlando solo di questioni interne, danno l'impressione di non avere idee in proposito né di sapere cosa dire o casa fare. Non è il caso di rammentare che il piccolo regno sabaudo guidato allora da Camillo Benso Conte di Cavour mandò in Crimea una spedizione di bersaglieri per potersi garantire un posto alla conferenza di pace e lì mettere sul tavolo la questione dell'indipendenza della penisola dal giogo austriaco. VAle la pena rammentare che la politica estera è la politica interna condotta con altri mezzi fuori dai confini nazionali.
Eppure i nostri partner europei non si comportano così in materia, non sono degli struzzi quando devono decidere l'interesse nazionale. Fanno "libri bianchi" che vengono discusssi, approfonditi e criticati pubblicamente. Quando devono dire cosa pensano, ad esempio, della presenza delle loro truppe in Afghanistan, (dove i nostri alpini stanno facendo un ottimo e largamente misconosciuto lavoro), i politici esteri escono allo scoperto ed eleborano una propria politica nazionale che poi discutono in modo trasparente con gli alleati. E' meglio dunque ritirarsi dall'Afghanistan al più presto anticipando il ritiro americano o aspettare le decisioni di Washington e prepararsi a una "fuga" disordinata con gli elicotteri sui tetti delle ambasciate occidentali come quella che avvenne in Vietnam o c'è una strategia reale di sganciamento graduale e passaggio delle consegne a un esercito afghano regolare o più realisticamente a qualche signore della guerra locale? Ne vogliamo parlare visto che ci inviamo i nostri uomini migliori e ci spendiamo soldi in momenti di austerità? Ne vale la pena? E fino a che punto?
E ancora: dobbiamo restare in Libano a fare le guardie di confine o in Kossovo o sarebbe meglio dislocarci in zone come la Somalia per la lotta alla pirateria marittima o nel Sud-Sudan, per fare un esempio tra mille, nella difesa delle minoranze cristiane dove anche una media potenza come la nostra potrebbe avere un ruolo di rilievo e maggiori benefici per i nostri traffici marittimi e i nostri interessi geopolitici?
E l'Europa, dove quest'anno si dovrà discutere di integrazione bancaria, fiscale, economica e forse politica, come pensiamo di forgiarla? Da quanto tempo Roma non ottiene una sede di una agenzia economica o di controllo finanziario nel nostro paese pur essendo il terzo contributore netto? Quali sono le nostre aspettative? Giocare di rimessa o proporre uno straccio di agenda europea? Come difendere i nostri brevetti, i nostri centri di ricerca come quello di Nerviano Medical Sciences (NMS) alle porte di Milano fondato nel 1965 da Farmitalia e riconosciuto in tutto il mondo per la terapia dei tumori, o le nostre Pmi nei mercati globali? Non c'è bisogno di essere colbertisti per chiederci se le nostre ambasciate nel mondo fanno abbastanza intelligence economica a favore delle nostre aziende? Sono domande a cui rispondere dopo aver approfondito i temi: altrimenti ci limiteremo a dire sì o no alle proposte dei nostri alleati, anzi a subirne le conseguenze o a parare i colpi come quello tentato all'ex presidente francese Sarkozi in Libia per ridurre la nostra presenza come maggior partner commerciale energetico di Tripoli?
Prevenire è meglio che curare dicevano gli antichi: lo stesso vale per la politica estera, la quale si vendica sempre verso chi non la fa o pensa di farme a meno.