Santoro ha invitato come scrive Aldo Grasso sul Corriere la sua "ossessione" commettendendo tre errori. 1) È partito con il piede sbagliato. E il piede è quello di Giulia Innocenzi, il cui tono così saccente predispone al peggio lo spettatore. Quell'aria di supponenza da dove le deriva? Si crede la più autorevole del reame? Se Santoro avesse fatto parlare per primo Gianni Dragoni sugli introiti finanziari delle aziende del Cavaliere, forse avrebbe dato un'altra piega alla serata.
2) Il modello proposto da Santoro era quello classico del processo, dunque uno sperimentato modello teatrale. Il fatto è che Santoro, quando costruisce la serata, ha una concezione molto classica della messa in scena: scaletta rigida, tempi preordinati, «attori» che hanno studiato la parte. Berlusconi, invece, recita a soggetto, segue un canovaccio (che più volte abbiamo definito «disco rotto»), ma ha ancora la capacità di improvvisare. Da guitto, da commedia all'italiana, ma in grado di spiazzare.
3) Il vero coup de théâtre di Berlusconi è stata la lettera a Travaglio, una trovata scenica di grande effetto. La controlettera aveva essenzialmente un effetto parodistico (costruita nello stile travagliesco, a metà tra il cabaret e i mattinali di polizia) e Santoro non l'ha capito. Non cogliendo lo spirito è andato fuori dai gangheri, ha fatto una scenataccia. Che era esattamente quello che Berlusconi desiderava: fargli perdere le staffe, dimostrare di non aver paura di scendere nella fossa dei leoni. Così, vittima del narcisismo (invitare in studio la sua ossessione), Santoro ha finito per portare acqua al mulino di Berlusconi.
Ora però dovrebbe invitare anche Mario Monti per par condicio e per dare slancio anche all'alternativa europea della sua "ossessione"che tanto europea non è. O forse teme di non fare abbastastanza audience? In questo caso avremmo scoperto che la vera ossessione di Santoro è la stessa di Berlusconi: fare audience anche sulla pelle del Paese.