"La Slovenia non sarà la prossima Cipro". È chiaro il messaggio che, in un'intervista rilasciata al quotidinao tedesco Frankfurter Allgeimeine, il presidente sloveno, Borut Pahor, manda alla comunità europea e agli investitori internazionali. Perché spiega, il settore bancario di Cipro era 8 volte il Pil del Paese, mentre in Slovenia il rapporto è solo di 1,3. Ma, ammette, "dobbiamo ovviamente affrontare il problema del settore bancario, attraverso la creazione di una bad bank e la privatizzazione di alcuni istituti".
La situazione è in realtà più seria di quanto ammettano le autorità ufficiali soprattutto rispetto alle soffrenze bancarie.
Una crisi derivata da prestiti eccessivi di banche statali, oggi tutte in perdita, fatti ai dirigenti delle ex aziende pubbliche, diventati imprenditori con il Management o il Leveraged Buy Out, che ora però non riescono a restituire i troppi soldi presi in prestito perché confidavano in profitti stellari e fatturati in ascesa. Così tutto torna alla casella di partenza: allo Stato.
Un dato per tutti: le prime dieci società inserite nell'indice principale della Borsa di Lubiana sono sotto controllo pubblico, con potenziali gravi danni per gli azionisti di minoranza e la tutela dei loro diritti di investitori. Spesso, inoltre, lo Stato ha una minoranza di blocco che non consente scalate ostili o il miglior rendimento delle risorse mantenendo al comando gruppi manageriali che preferiscono mantenere lo status quo senza rischi.
In un recente rapporto della Commissione nazionale per la lotta alla corruzione in Slovenia, si sostiene che le maggiori banche locali, di cui tre pubbliche tra le prime quattro, hanno elargito nello scorso decennio enormi somme di crediti, ora ritenuti tossici, che ammonterebbero a un quinto del Pil.
Le direzioni delle banche avrebbero spesso preso decisioni in base a rapporti politici e personali, «in un'atmosfera di corruzione politica strutturale». La relazione sulle banche slovene, in gran parte di proprietà dello Stato, stima i crediti in sofferenza a 7 miliardi di euro.
Emblematico – per la Commissione europea – il caso di Intereuropa, società di servizi logistici, in mano pubblica al 51%, attraverso una fitta ed intricata ragnatela di incroci azionari di ben dieci società (finanziarie, fondi statali, assicurazioni e banche) tutte riconducibili alla longa manus del Tesoro sloveno. Un meccanismo opaco, legato a gruppi di controllo interni «senza incentivi ad aumentare la profittabilità o la ristrutturazione delle società», dice il rapporto Ue.
Questi scambi azionari con banche o fondi statali provocano effetti paradossali nell'economia reale, come nel caso del gruppo leader della distribuzione al dettaglio Mercator o della birra Pivovarma Lasko, in cui la quota di azioni statali è salita sopra la soglia della minoranza di blocco dopo che le banche pubbliche hanno trasformato in azioni i crediti in sofferenza. Così le società un tempo privatizzate e ora in crisi sono state ri-nazionalizzate in modo strisciante, provocando però nuove perdite alle banche pubbliche che a loro volta hanno chiesto capitali freschi al Governo. Una catena della crisi che ha fatto deragliare i conti pubblici al punto che il Tesoro sloveno non va sul mercato dall'ottobre scorso.
La seconda banca del Paese, Nova Kreditna Banka Maribor, (NKBN), 205 milioni di rosso lo scorso anno, declassata da S&P’s, è stata fra le quattro banche che non hanno passato gli stress test europei e di recente ha deciso una ricapitalizzazione da 100 milioni. Che fare per cercare fondi? Presto detto. La NKBM, partecipata dal Tesoro al 51,2%, ha cercato di vendere una quota delle assicurazioni Zavarovalnica Maribor (ZM) per aumentare la capitalizzazione. Un operatore straniero era interessato ad acquisire la quota della ZM a condizione di avere in mano il 75% delle azioni, mossa che voleva dire la cessione anche della quota della Sava Re, società pubblica di riassicurazioni. Invece di vendere, Sava Re ha fatto un controfferta per le azioni di NKBM in ZM con l’aiuto del fondo statale Sod, ricapitalizzato nel 2011 e 2012 dal Governo sloveno e possessore a sua volta di una quota di Sava Re. Così Sava Re ha offerto 15 milioni di euro per l’11,8% della quota di ZM e Sod 50 milioni per il 39,2%. Alla fine Sod venderà a Sava Re la sua quota di Zm quando Sava Re andrà sul mercato con un’Ipo nel 2013. Così tutto resta in famiglia e a carico dello stato.
Altro esempio di statalizzazione strisciante. La banca NKBM ha ricevuto 170 milioni di ricapitalizzazione dallo Stato ma per evitare un esborso eccessivo e che la quota pubblica venisse diluita Lubiana ha chiesto a tre società pubbliche di acquistare le nuove azioni della NKBM proporzionalmente alla quota statale. Nel 2012 uno di questi "cavalieri bianchi", le Poste slovene, che detiene il 6,6% di NKBM, ha svalutato per 5 milioni il valore delle azioni bancarie appena acquistate. E a pagare, alla fine del tortuoso giro, sono i contribuenti.«La ragione principale per cui le banche pubbliche non sono state vendute è perché hanno servito gli interessi delle élite finanziarie e politiche del Paese», ha ammesso l'ex ministro delle Finanze, Janez Sustersic.
Per questo la Commissione Ue ha chiesto di privatizzare le maggiori banche slovene, oggi in mano pubblica, e di far retrocedere lo Stato dall'economia per uscire dalla crisi in cui versa il Paese. Ma non sarà facile.