Come previsto la Banca centrale turca ha mantenuto il tasso di riferimento invariato,
alla luce di una minore pressione al ribasso sulla lira e di migliori prospettive per l'economia turca e sulla scommessa che la Fed non spingerà sul tapering. In una dichiarazione sul suo sito la banca centrale ha annunciato che il suo tasso di riferimento sul pronti contro termine a una settimana resta al 4,50%, mentre i tassi overnight passivo e attivo restano rispettivamente al 3,50 e il 7,75%. I mercati turchi, insieme
dal altri emergenti, sono stati colpiti dalla vendite sulla notizia che la Fed di prepara a sospendere il suo programma di stimolo monetario all'economia Usa.
Nell'ultima settimana però la pressione si è allentata e la lira si è rafforzata da 2,08 per dollaro a circa due. Il governatore Erdem Basci ad agosto ha detto che non userà lo strumento dei tassi per difendere la lira, ma è intervenuto con vendite di valuta sul mercato dei cambi. La banca centrale, indipendente per statuto, subisce le pressioni dell'esecutivo islamico conservatore guidato da Recep Tayyip Erdogan, che le chiede di tenere i tassi bassi per sostenere una crescita in rallentamento. Tuttavia nel secondo trimestre l'espansione del Pil è accelerata al 4,4% dal 2,9% su base annua rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.
Il Bosforo dunque è in fibrillazione. La lira turca ha toccato il suo livello più basso mai registrato dal 1981, arrivando a quota 2,080 contro il dollaro per poi recuperare fino a 2,01, i rendimenti obbligazionari dei bond a due anni sono balzati sopra il 10% al livello più alto da 19 mesi e il mercato azionario ha perso più del 25% (MSCI Turkey Index) dall’inizio dell’anno. Tre segnali preoccupanti.
Gli investitori stanno uscendo dai mercati emergenti da quando la Fed si prepara a ridurre l’ammontare di liquidità che immette ogni mese (85 miliardi di dollari) nell’economia mondiale e la Turchia non sfugge a questa rapida inversione di flussi che sta provocando il declino delle valute emergenti come la lira turca. Secondo Daniel Gros del Ceps anche la crisi europea ha colpito l'export degli emergenti e aggravato le loro partite correnti.
Così gli investitori stranieri hanno venduto 606 milioni di dollari di bond turchi da maggio, secondo dati della Banca centrale, a causa della volatilità valutaria che spaventa gli investitori. «La Turchia necessita di 6 miliardi di dollari al mese dall’estero, in media, per finanziare la sua economia – ricorda Ismael Pomiès – Portfolio Manager di State Street Global Advisors – e gli ultimi preoccupanti dati sul deficit commerciale (9,8 miliardi di dollari in luglio) inducono a ritenere che vi sia in atto un deterioramento delle partite correnti. Inoltre i tassi di interesse reali sembrano essere troppo bassi rispetto al disavanzo delle partite correnti».
L’unione di un forte deficit corrente strutturale (pari al 7% del Pil nel 2013) e di una rilevante dipendenza dei capitali stranieri a breve a causa dello scarso tasso di risparmio domestico (sceso al 15% del Pil nel 2011 da oltre il 25% negli anni ’90), rendono l’economia e la valuta del paese sul Bosforo vulnerabili a repentini cambi della propensione al rischio degli investitori internazionali a seguito di shock o a mutamenti nella condizioni di liquidità sul mercato internazionale dei capitali.
La Banca centrale turca ha cercato di frenare la svalutazione vendendo 8,3 miliardi di dollari senza molto successo. Da gennaio ad agosto la lira turca si è deprezzata di oltre l’11% nei confronti del biglietto verde portandosi sopra quota 2 lire per un dollaro e del 13% rispetto alla moneta unica a 2,66 lire per un euro.
Secondo uno studio sulla Turchia dell’Ufficio studi di Intesasanpaolo in via di pubblicazione «sono cinque i punti critici di Ankara: 1) squilibrio delle partite di conto corrente che in fase di turbolenze valutarie dovute alle dichiarazioni della Fed sulla riduzione di liquidità fanno soffrire di più il paese. 2) poche riserve valutarie pari a 103 miliardi di dollari (a fine giugno 2013) contro un fabbisogno finanziario estero (debito in scadenza e deficit di conto corrente da finanziare) stimato attorno ai 230 miliardi di dollari nel 2014. Quindi le riserve sono meno della metà del fabbisogno. 3) debolezza strutturale dell’economia che resta quella di un emergente; 4) dopo le proteste a giugno di piazza a Gezi Park è aumentato il rischio politico 5) il paese è al centro di un’area molto instabile».
La banca centrale di Ankara ha speso 8,3 miliardi dollari dal 11 giugno scorso per sostenere la lira mentre i Credit default swap, l’assicurazione contro il fallimento dei bond sovrani, sono aumentati di 40 punti base in questo trimestre a 231 punti. Le riserve valutarie turche sono poca cosa rispetto a quelle del Brasile pari a 374 miliardi dollari o della Russia pari a 480 miliardi dollari.
«Difenderemo la lira come leoni, spezzeremo la schiena delle valute estere», ha tuonato nei giorni scorsi Erdem Basci, il governatore della Banca centrale turca ma senza troppo successo.
Nel frattempo l’istituto centrale ha aumentato il tasso overnight, il più alto in un corridoio di tre tassi, di 75 punti base al 7,25 per cento il mese scorso e di ulteriori 50 punti base, al 7,75 per cento il 20 agosto per cercare di arginare le perdite nella lira, lasciando gli altri due tassi di riferimento invariati (al 4,5% e 3,5%). Tentativo però che non ha prodotto grandi risultati e che non ha convinto il governo Erdogan preoccupato degli effetti recessivi della stretta. Anzi Tim Ashton di Standard Bank ha accusato il governatore Basci di scarsa indipendenza.
Quanto alla debolezza della lira se la valuta precipita i flussi di fondi dall’estero (di portafoglio, diretti e prestiti) tendono a diradarsi e questo provoca problemi di finanziamento dello squilibrio corrente sebbene l’export sia avvantaggiato dal cambio deprezzato, ma il petrolio importato costa più caro.
L’export verso i paesi del Medio Oriente e Nord Africa è sceso a 3,9 miliardi di dollari nel mese di luglio, in calo del 24% rispetto all’anno precedente. Le vendite verso la Ue però sono aumentate del 22,7% rispetto a un anno fa, aumentando la quota del totale delle esportazioni della Turchia dell’Ue di 41,5% dal 34,6 per cento. Un paese davvero in bilico tra Occidente e Oriente.