Cosa insegna l’incredibile parabola politica di Alcide De Gasperi all’Italia di oggi impegnata a far valere le proprie ragioni in Europa a trazione tedesca? Molto, basta osservare alcuni passaggi della sua storia personale e trarne alcuni insegnamenti validi ancora oggi: De Gasperi nasce nel 1881 a Pieve Tesino, in provincia di Trento, all’epoca una regione dell’Impero austro-ungarico di Francesco Giuseppe. De Gasperi quindi è un cittadino europeo ante-litteram, cioè è stato cittadino di un impero multinazionale europeo sebbene ormai al capolinea. Era quindi abituato a vedere i problemi e le relative soluzioni in chiave multinazionale.
Nel 1900 si iscrive alla facoltà di filosofia dell’Università di Vienna e frequenta gli ambienti del movimento cristiano sociale. Fa quindi una sorta di Erasmus ante litteram, diremmo oggi.
Nel 1911 viene eletto nel Parlamento di Vienna dove entra in contatto con le varie nazionalità dell’impero asburgico, un mondo cosmopolita e geopoliticamente complesso, un mosaico di lingue, religioni, etnie spesso in conflitto.
L’ascesa del fascimo lo costringe alle dimissioni da segretario del partito popolare. Poi viene arrestato e trova rifugio come bibliotecario in Vaticano grazie all’intercessione di Monsignor Montini, futuro Papa Paolo VI. Sembra la fine delal sua carriera politica ma alla fine della fascismo e della seconda guerra mondiale, De Gasperi torna alla guida del partito cattolico e fa tre scelte strategiche per l’Italia sconfitta: aggancia Roma all’Occidente con l’ingresso nell’Alleanza Atlantica; 2) sceglie la via dell’economia sociale di mercato, un liberismo economico temperato sullo stile di quello portato avanti dal cancelliere Konrad Adenauer in Germania, una politica che porta a riforme strutturali, diremmo oggi, come la riforma agraria, la costruzione di case popolari, la fondazione della Cassa per il Mezzogiorno, al varo della riforma tributaria, tutte azioni molto avversate nella loro realizzazione sul terreno che mettono però le basi del miracolo economico degli anni ’60; 3) mette le basi della Comunità europea con il cancelliere tedesco e democristiano Konrad Adenauer e il ministro degli esteri francese Robert Schuman. L’idea di fondo è mettere fine alle rivalità tra Francia e Germania, e mettere in comune acciaio e carbone. Ma ciò che conta è che De Gasperi era in sintonia con Germania e Francia e conosceva l’Europa e i suoi meccanismi perché era stato suddito di un impero multinazionale a Vienna. Era un costruttore dell’Europa e ne guidava i destini insieme agli altri partner. L’idea di un’Europa “maestra” che verificava i compiti a casa o altro da sè come direbbe Hegel della Fenomelogia dello spirito gli era completamente estranea. Era un architetto dell’edificio comunitario, ne aveva firmato il progetto, ne aveva seguito la costruzione, ne condivideva gli scopi. Oggi invece l’Italia ne ha perso parzialmente il senso a causa di un graduale ritiro negli anni per rifugiarsi nell’agone domestico: è stata la nostra assenza a Bruxelles a dare spazio ai nostri partner. Per questo bisogna ritornare a far sentire la nostra voce a Bruxelles: senza eccessi né sudditanze, ma sentendosi pari tra pari. L’Europa è un compromesso continuo, un megoziato dove vince chi ha le idee migliori. Nella fiducia reciproca per evitare i conflitti tra europei. Cosa farebbe oggi De Gasperi? probabilmente parlerebbe di eurobond, di unione politica, di fiscalità federale. Rilancerebbe la palla, giocherebbe all’attacco. Dopo aver fatto i compiti a casa.