Mary Elise Sarotte, racconta la caduta del Muro di Berlino come un evento fortuito, causato soprattutto dagli errori del Politburo della Germania dell’Est disorientato dalle proteste di massa. Il titolo del libro della Sarotte è già una tesi accattivamente: «Il collasso: la fortuita apertura del muro di Berlino». Il muro cadde, scrive la storica americana, in seguito non all’intervento del presidente americano e repubblicano Ronald Reagan come accettato comunemente negli Stati Uniti, ma agli errori dei leader comunisti tedeschi e alla rivolta di massa e pacifica dei berlinesi dell’Est. L’Occidente contribuì alla sua caduta, ma il detonatore fu causato innanzitutto dalla difficile interazione tra il segretario del Pcus Gorbaciov, gli incompetenti vertici della Germania dell’Est e i dimostranti berlinesi.
Poter attraversare il Muro da parte dei berlinesi orientali senza permessi ha significato chiudere con la Guerra fredda e aprire la strada alla riunificazione della Germania e alla sua leadership in Europa.
Ha significato anche emarginare la Russia dalla sua sfera di influenza, come ben sanno i polacchi del sindacato libero Solidarnosc che con gli scioperi di Danzica diedero inizio alla disgregazione del Patto di Varsavia dal suo interno dopo aver subìto la legge marziale del generale Jaruzelski.
Vladimir Putin era a Dresda nei giorni della caduta del Muro di Berlino come ufficiale del Kgb, il servizio segreto sovietico, e visse quegli eventi non come la sconfitta del comunismo, ma come la fine dell’egemonia russa sull’area, fatto geopolitico che non ha mai accettato, come si evince dal suo comportamento nella crisi ucraina.
Ecco perché la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ex cittadina della Ddr, ha potuto parlare in russo rivolgendosi a Putin nel vertice Asem di Milano del 16-17 ottobre scorso tra lo sconcerto del premier Matteo Renzi mentre Putin avrebbe potuto rispondere in tedesco alla cancelliera, senza però continuare capirsi sulla crisi ucraina.
La caduta del Muro ha fatto arretrare la Russia dall’Europa centro-orientale, ma non ha risolto il rapporto tra Usa e Russia in Europa che continua a esercitarsi come conflitto di sfere di influenza e non come partenariato, come in una fase iniziale sembrava la strada che aveva imboccato.
Dopo l’implosione della stessa Unione sovietica i neoconservatori americani di Richard Perle e Paul Wolfowitz (definito dall’”Economist” il «velociraptor» del gruppo) crearono le condizioni della presidenza imperiale di George W. Bush.
Una stagione di politica estera unilaterale dove Washington ha pensato di plasmare il mondo da sola da «Berlino a Baghdad» e che ha lasciato molti frutti avvelenati sul terreno della presidenza di Barack Obama. Un tasto “reset” (azzeramento) e una stretta di mano tra il ministro degli Esteri Serghei Lavrov e il segretario di Stato Hillary Clinton a Ginevra nel 2009 non sono bastati a superare i detriti della Caduta del Muro di Berlino che ancora ingombrano il terreno europeo, venticinque anni dopo.