Capire le cause di una crisi è l’elemento focale per capire quale sarà la cura migliore. Per questo è molto importante il discorso che il presidente della Bce, Mario Draghi, ha tenuto alla Sapienza in occasione della celebrazione del centenario della nascita di Federico Caffè. Un discorso complesso, analitico, articolato fino al dettaglio ma fondamentale.
“L’attuale, inaccettabile livello della disoccupazione – il 23% dei giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni non ha un lavoro – ha detto Draghi – è contro ogni nozione di equità, è la più grande forma di spreco di risorse, è causa di deterioramento del capitale umano, incide sulle potenzialità delle economie diminuendone la crescita per gli anni a venire”.
Questa premessa serviva solo far presente che seppure nel mandato della Bce non sia presente l’obiettivo della disoccupazione, come invece è presente in quello della Fed, non per questo l’Eurotower non ne tiene conto.
“Questa disoccupazione – ha proseguito Draghi – trova la sua origine dapprima nella Grande Recessione che ha toccato tutte le economie avanzate; poi nella crisi del debito sovrano che ha concentrato le perdite di posti di lavoro in quei paesi dove il debito e il deficit pubblico erano più alti, dove gli strumenti fiscali di stabilizzazione macroeconomica sono stati paralizzati dalla necessità di dimostrare agli investitori che il debito, nonostante la crisi, era sostenibile; in questi paesi il meccanismo di trasmissione della politica monetaria ha smesso di funzionare, inducendo una restrizione creditizia che ha ulteriormente aggravato la crisi”.
Tre punti dunque, secondo Draghi, del percorso della crisi: Grande Recessione che colpisce tutte le economie del mondo iniziando dagli Stati Uniti; 2) crisi del debito sovrano che colpisce la Grecia per prima e poi si espande agli altri paesi indebitati della zona euro costretti a misure di austerity per convincere i mercati della sostenibilità del debito nonostante la crisi; 3) restrizione creditizia che ha agravato la crisi.
Poi Draghi è passato ad elencare cosa ha fatto la Bce per affrontare la crisi peggiore dal 1929:
“La BCE ha reagito alla crisi su tre fronti. Per quanto riguarda la politica monetaria cosiddetta convenzionale, ha portato il livello dei tassi di interesse dal 1.5% nel novembre 2011 al 0.05% oggi. Ha portato il tasso di interesse pagato dalle banche per i loro depositi presso la stessa BCE dal 75 punti base nel novembre 2011 a -0.20 oggi. Ha inoltre attivato già alla fine del 2011 linee di credito per il sistema bancario per 1 trilione di euro e per una durata senza precedenti di 3 anni. Successivamente, di fronte al riesplodere della crisi del debito sovrano e a una grave crisi di fiducia nella stessa sopravvivenza dell’euro, ha introdotto il programma ormai famoso dell’OMT che ha contribuito a ridurre rapidamente l’incertezza in tutti i mercati finanziari dell’area dell’euro e a riportare gli spread in linea con il merito di credito. Ha più recentemente introdotto altre tre misure di politica monetaria non convenzionale: le TLTRO, linee di credito fino a 4 anni utilizzabili dalle banche per prestiti alle famiglie e alle imprese; due programmi di acquisto di Covered Bonds e ABS con l’intento di espandere ulteriormente la liquidità tramite operazioni indirizzate verso l’economia reale. Tutte queste azioni di politica monetaria, accompagnate dalla previsione di mantenere i tassi di interesse al livello attuale per un lungo periodo di tempo e di continuare nell’espansione del bilancio BCE e assieme all’impegno del Consiglio dei Governatori di intraprendere ulteriori azioni di politica monetaria non convenzionali nel caso in cui le aspettative di inflazione di medio termine dovessero peggiorare o nel caso in cui le misure già decise dovessero rivelarsi in tal senso insufficienti, ha portato ad una espansione monetaria senza precedenti. Oggi tutti i tassi di interesse di mercato attuali e attesi su qualunque orizzonte sono più bassi di quanto non siano mai stati e più bassi di quanto siano oggi negli Stati Uniti”.
Un lungo e dettagliato elenco ma Draghi non ha affrontato il tema di possibili nuove misure non convenzionali, ma non lo ha neppure escluso. Anzi, ha detto che la porta a nuove misure è sempre aperta nonostante sappiamo ci siano delle resistenze.
Saggiamente non ha detto degli effetti di queste manovre sulla forza dell’euro che dovrebbe scendere e favorire l’export europeo.
Poi ha proseguito: “La politica monetaria ha fatto e continuerà a fare la sua parte ma da sola non basta. Dal lato della domanda, si pensi soltanto al fatto che gli investimenti privati nell’area dell’euro dal 2007 sono calati del 15% e quelli pubblici del 12%” Questo è un dato molto importante che spiega almeno in parte la frenata dell’economia dell’eurozona. Ecco perché è molto importante il paino Juncker di investimenti per 300 miliardi di euro in infrastrutture.
Il presidente ha poi proseguito: “Una politica monetaria espansiva, una politica fiscale, che, nel rispetto delle regole esistenti, veda maggiori investimenti e minori tasse, non sono sufficienti a generare una ripresa della crescita forte e sostenibile senza le necessarie riforme strutturali dei mercati dei prodotti e del lavoro”. Qui Draghi ha richiamato i governi alla necessità di fare le riforme strutturali, secondo la visione resa famosa dal ministro tedesco dell’Economia Wolfgang Schaeuble, secondo cui la crisi è stata determinata da conti in disordine e perdita di competittività.
Infine sono arrivate le conclusioni di Draghi: “La lezione del 2012 ci ha insegnato che la crisi di fiducia nell’euro era anche causata dall’incertezza, rivelatasi infondata, sul futuro della moneta unica. A questa incertezza i leader europei reagirono nel giugno del 2012 con la creazione dell’unione bancaria che ha portato alla vigilanza unica della BCE. Questo è stato l’atto di integrazione più importante che sia mai stato deliberato dalla creazione dell’euro”. Draghi non ha citato la sua famosa frase “whaterver it takes” detta a Londra che frenò la speculazione degli hedge fund che sentivano odore di sangue sulla fine dell’euro. Draghi non ha citato nemmeno i tempi lunghi di attuazione dell’Unione bancaria e del Fondo di garanzia. Insomma ha preferito vedere il bicchiere mezzo pieno e non quello mezzo vuoto dei nazionalismi ancora presenti.
“Ogni legame – infine ha concluso Draghi – duraturo vuole una solida base di fiducia reciproca. I paesi dell’eurozona hanno in questi anni grandemente rafforzato i loro legami e corrispondentemente allargato la base di fiducia su cui essi poggiano: con la politica monetaria comune, con regole di bilancio comuni, ora con una unione bancaria e una vigilanza bancaria comune e presto con un mercato di capitali comune”.
Il presidente della Bce ha posto un nuovo obiettivo davanti a sé: quello di un mercato dei capitali comune. Evidentemente non considera chiuso il cantiere europeo anti-crisi. E in ogni caso sembra avere il dito pronto sul bottone del Quantitative Easing.