Sono in una sorta di terra di nessuno o terra di mezzo, tra le 600 mila mine dislocate nel confine tra Siria e Turchia,, le milizie del Califfato che li inseguono e i tanks della Turchia che non li vuole. Oltre duemila profughi siriani si trovano in un campo minato tra la Siria e la Turchia dopo che Ankara ha impedito l’ingresso alle loro auto e al bestiame, ai quali le persone in fuga dal Califfato dello Stato Islamico (Is) non vogliono proprio rinunciare. Lo denuncia Human Rights Watch (HRW) alla Kronos-Aki spiegando che almeno tre persone sono già morte e nove sono state ferite in seguito all’esplosione di queste mine. Le vittime, denuncia l’organizzazione, hanno tra i 5 e i 15 anni. La Turchia fa intanto sapere che ci sono oltre 600 mila mine lungo il confine con la Siria lasciate dall’esercito di Ankara tra il 1957 e il 1998 per evitare che il confine venisse oltrepassato illegalmente. «Diventare vittima di una mina dopo aver perso la propria casa ed essere fuggito dal proprio Paese è un destino che nessuno dovrebbe avere”, ha detto il direttore di Hrw per questioni di armi Steve Goose.
Ankara però ha come primi obiettivi la caduta del siriano Bashar al Assad (con cui Erdogan passava le vacanze al mare con le rispettive famiglie fino a qualche anno fa) e il contenimento della autonomia della presenza curda; questo atteggiamento politico ha reso più agevole,, sebbene solo indirettamente. le operazioni militari del Califfato dello Stato Islamico. La gestione dei profughi siriani è diventato un problema sempre maggiore per Ankara e le sue finanze. Una politica estera, quella della Turchia del presidente Erdogan, che appare sempre meno allineata con quella dell’Unione europea, dalle posizioni contro le sanzioni a Putin all’appoggio alla Fratellanza musulmana e contro il governo del maresciallo Al Sisi in Egitto. Una politica quella turca sempre meno laica e più avventurista in un’area esplosiva.
Comunque la Ue non molla e dopo anni di stallo diplomatico e non solo per colpa europea è pronta a rilanciare le relazioni con la Turchia, nonostante le recenti e non poche tensioni con Cipro per la vicenda dello sfruttamento del gas e petrolio off-shore. A tendere la mano verso Ankara è la missione del nuovo esecutivo Juncker guidata dal capo della diplomazia Ue, Lady Pesc, Federica Mogherini, che insieme ai commissari all’allargamento e agli aiuti umanitari, Johannes Hahn e Christos Stylianides, sarà da lunedì proprio in Turchia. Questa visita “è un forte segnale dell’importanza strategica delle relazioni Ue-Turchia e del nostro desiderio di portare l’impegno ad un livello superiore, visti gli interessi e le sfide comuni” ha detto Mogherini, annunciando la missione. L’obiettivo di Bruxelles è quello di un maggiore coordinamento con un partner strategico, con in mano un’agenda che certamente include i negoziati di adesione, congelati a causa dei veti di Cipro, Francia, Germani a e Austria e sui quali certo non si attendono risultati mirabolantii, ma che spazia dai dossier Siria e Iraq, con la sfida sul fronte sicurezza dell’anti-Is, poi Medio Oriente e Libia, fino all’immigrazione, l’energia e l’economia, anche in vista dell’imminente presidenza turca del G20. La stessa volontà di ridare slancio alle relazioni bilaterali della nuova Commissione Juncker “è condivisa anche dal nuovo governo Davutoglu” sottolinea un funzionario Ue. Un capitolo a parte della missione europea è quello dedicato all’intervento umanitario: la Turchia ospita 1,6 milioni di rifugiati siriani e migliaia di iracheni. Ankara continua a mantenere formalmente aperte le sue frontiere e a gestire autonomamente l’emergenza, ora però deve fare i conti con il problema dell’integrazione nelle comunità locali. Su questo fronte gli europei annunceranno un pacchetto di aiuti ad Ankara, non solo finanziari, ma di expertise. “L’85% dei rifugiati vive al di fuori dei campi profughi, ed è già chiaro che rimarranno a lungo, la crisi siriana non si risolverà domani” riferiscono fonti comunitarie. Sul fronte economico, “si pensa di ampliare l’Unione doganale, ancora limitata ai prodotti industriali, anche a servizi e appalti pubblici” spiegano le fonti Ue, che ricordano come i 28 siano i primi partner commerciali della Turchia e dall’Ue arrivino oltre il 50% degli investimenti stranieri diretti nel Paese.