Dopo aver bombardato per giorni le postazioni del Pkk curdo nei monti del Nord Iraq finalmente i jet turchi hanno rivolto le loro ali verso il vero nemico e hanno partecipato per la prima volta alle operazioni della coalizione internazionale contro obiettivi in Siria degli jihadisti dell’Isis. Lo ha reso noto il ministero degli Esteri di Ankara. Il capitano Jeff Davis della marina Usa aveva precisato venerdì che l’Isis sarà l’unico obiettivo della coalizione e che la Turchia continuerà a informare gli alleati sui suoi raid contro i curdi, che finora sono tra le poche truppe di terra che fronteggiano l’Isis con successo sul terreno. La Turchia ha recentemente messo a disposizione della coalizione la sua strategica base aerea di Incirlik, nel sud del paese.E sarebbero già sette gli obiettivi colpiti nel corso dei primi raid aerei congiunti tra la Turchia e la coalizione internazionale che combatte lo stato islamico in Iraq e Siria. Ad essere centrati – ha riportato l’emittente televisiva turca NTV Channel citando fonti militari – sono state sette postazioni dell’Isis nell’area nord della città siriana di Aleppo.
Confidando della minor pressione dei jet di Ankara sui monti Quandil i militanti del Pkk ha lanciato nuovi attacchi alle forze di sicurezza di Ankara nel sudest della Turchia, raid che hanno causato almeno 5 morti e 24 feriti. I ribelli curdi hanno attaccato un ufficio governativo a Tunceli: il bilancio è di un agente e due miliziani uccisi. In un altro assalto contro la polizia che stazionava nei pressi di un ospedale a Sanliurfa, due agenti sono rimasti uccisi. Nella provincia di Mardin, l’esplosione di uno Ied ha causato il ferimento di 10 poliziotti e 14 civili.
Intanto il nuovo governo ad interim annunciato venerdì dal primo ministro Ahmet Davutoglu e che traghetterà la Turchia al voto del primo novembre, comprende per la prima volta due ministri membri di una formazione filocurda e un aministro nazionalista.Un governo in carica per appena due mesi, fino al voto anticipato del primo novembre, ma che in Turchia verrà ricordato a lungo. Per la prima volta due esponenti di un partito curdo entrano nell’esecutivo di Ankara. Una scelta obbligata dalla Costituzione: dopo il fallimento dei colloqui di coalizione successivi alle elezioni del 7 giugno, l’unica strada rimasta era quella di un esecutivo del presidente in cui fossero rappresentate tutte le forze in parlamento. Anche questa una prima per la Turchia. Il via libera giunto dal capo dello Stato Recep Tayyip Erdogan fa entrare in carica il governo senza bisogno di un voto di fiducia. Poche settimane di vita in cui da gestire ci sarà però ben più dell’ordinaria amministrazione. Con il Paese ripiombato nel conflitto con il Pkk curdo nel sud-est e l’allarme dei mercati per la lira turca in caduta libera e con il timore di un rialzo dei tassi di interesse da parte della Fed, il cammino verso il voto si preannuncia irto di ostacoli. «La nazione deve stare tranquilla: agiremo come un governo eletto per 4 anni», ha cercato di tranquillizzare Davutoglu, lo stesso che aveva teorizzato la politica di “zero problemi con i vicini”, ottenendo praticamente il risultato opposto ai suoi propositi iniziali. Il premier aveva offerto ai partiti di opposizione 11 dei 26 posti disponibili nel Consiglio dei ministri, nonostante il socialdemocratico e laico Chp (l’erede del partito di Kemal Ataturk, il fondatore della Turchia moderna) e il nazionalista Mhp, gli ex “Lupi grigi” passati ora al doppio petto sempre grigio del professor Devlet Bacheli avessero già bollato la proposta come “indecente”. Quelli lasciati vacanti dal loro rifiuto sono stati assegnati a figure esterne al parlamento. Subito era invece giunto lo “yes, we can” del filo-curdo Hdp, «pronto a esercitare il diritto costituzionale” anche per controllare la legittimità del percorso elettorale. Ma un primo intoppo era arrivato venerdì con il rifiuto di uno dei suoi tre ministri in pectore, Levent Tuzel, esponente dell’ala sinistra del partito. Nel governo sono entrati invece gli altri due deputati ‘invitati’ dell’Hdp, Ali Haydar Konca agli Affari Europei e Muslum Dogan allo Sviluppo, anche loro comunque non di origini curde. A uscire spaccato dalle trattative-lampo per l’assegnazione dei ministeri sono i nazionalisti. Nonostante le porte sbarrate dal leader Devlet Bahceli, il figlio del fondatore del partito, Tugrul Turkes, diventerà vicepremier. Una scelta destinata a lasciare non pochi strascichi, con la direzione del Mhp che gli chiede invano le dimissioni e immagina il padre Alparslan, figura simbolo della destra turca, “rivoltarsi nella tomba”. Ma proprio Turkes potrebbe diventare una delle chiavi dell’Akp di Davutoglu per cercare di aprire il forziere di voti nazionalisti nelle urne del primo novembre. Nel nuovo esecutivo elettorale al ministero degli Interni, decisivo in vista dell’organizzazione del voto, va il capo della polizia di Istanbul Selami Altinok. Sotto la lente d’ingrandimento ci saranno tutte le scelte di questo governo a tempo che Davutoglu guiderà da premier uscente e candidato. Dopo aver deciso di restarne fuori, il Chp denuncia che negli ultimi due mesi e mezzo trascorsi dopo il voto, quando doveva solo occuparsi degli affari correnti, l’Akp ha fatto oltre 800 nomine in burocrazia, magistratura ed esercito: più del triplo dei sei mesi precedenti. Un motivo in più per plaudire alla mossa del partito filo curdo Hdp che invece è entrato nella stana dei bottoni.