Zwei Cappuccino im Monat, due Cappuccini al mese. Questo è il titolo ironico con cui Handelsblatt, il giornale finanziario tedesco, ha criticato come assolutamente insufficiente la riduzione delle imposte decise dalla cancelliera Angela Merkel per rilanciare i consumi interni in Germania. Alle critiche interne di Handelsblatt si sono aggiunte quelle, ben più importanti e severe, del direttore generale dell’Fmi, la francese Christine Lagarde, che a Washingotn ha “strigliato” con il via libera degli Stati Uniti, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, per incentivarlo finalmente ad utilizzare l’ampio spazio fiscale di cui dispone per gli investimenti produttivi e non solo per ridurre le tasse di soli 6,3 miliardi di euro all’anno, promessi nel biennio 2017-18, di cui 2,3 miliardi destinati a sterilizzare l’effetto dell’inflazione che fa passare i contribuenti all’aliquota fiscale superiore.
Panniccelli caldi di fronte a una crisi che ha tagliato i livelli di crescita globali come ha ricordato Robert Gordon, lo storico americano dell’economia che parla da tempo di un calo persistente della produttività nel suo “The Rise and Fall of American Growth”. Tagli fiscali troppo timidi, ha detto il direttore generale dell’Fmi, Christine Lagarde, interpellata sui tagli alle tasse promessi dalla Merkel. «I tagli alle tasse che saranno annunciati speriamo rientrino in un pacchetto più ampio che sfrutterà lo spazio fiscale di cui dispone la Germania. Riteniamo – ha affermato il numero uno del Fondo – che possano essere fatti investimenti nell’area delle infrastrutture e della loro manutenzione. Dato il basso costo dei finanziamenti, soprattutto per un Paese come la Germania, è sicuramente il momento giusto per sviluppare ulteriormente queste infrastrutture». I ponti autostradali in Germania sono vetusti e pericolosi eppure Schäuble non sente ragioni e non si decide a investire nel futuro ed ad aprire i cordoni della borsa, ossessionato dall’ordoliberalismo e dall’austerità e dimentico della lezione del suo predecessore, Ludwig Erhard, che seguendo l’economia sociale di mercato produsse il miracolo tedesco del dopoguerra.
La Germania ha un avanzo delle partite correnti pari all’8,5% del Pil, superiore a quello della Cina stima l’Ifo, e sempre sopra ai limiti previsti dal Trattato di Maastricht. Non solo. Berlino ha un debito pubblico che dal 68,6% del 2016 passerà al 66,3% l’anno prossimo, una disoccupazione al 4,6% (praticamente a livelli americani di piena occupazione) e una crescita del Pil nel biennio dell’1,6 per cento. Eppure Schäuble ha respinto perfino le timide richieste dei partner di coalizione socialdemocratici che chiedevano tagli alle imposte di 15 miliardi di euro per rilanciare i consumi interni.
Un altro terreno di scontro tra la Germania e il resto del mondo è stato il debito greco, che l’Fmi ritiene «insostenibile». Parlando all’Atlantic Council a Washington, il commissario Ue Pierre Moscovici ha lanciato un messaggio chiaro: l’Fmi, che ancora non ha deciso se partecipare al terzo piano di aiuti lanciato nell’estate 2015 dai partner Ue alla Grecia, «deve essere a bordo» perché l’istituto di Washington – che chiede con insistenza una ristrutturazione del debito greco – è visto come un «elemento di garanzia e sicurezza per molti partner e la Commissione darebbe il benvenuto» al Fondo stesso. Eppure Berlino non ci sente e vuole riparlarne solo dopo le sue elezioni politiche. Ma come ha ricordato il premier greco Alexis Tsipras, «non solo la Germania ha le elezioni in Europa».