Nelle ultime settimane ho avuto contatti con i ministri delle Finanze della maggior parte dei Paesi europei: quello italiano, francese, spagnolo, portoghese, finlandese, austriaco e belga. Insomma The Usual Suspects, i soliti sospetti», ha detto Pierre Moscivici, il commissario agli Affari economici e finanziari, sul cui tavolo sono giunti i Draft Budgetary Plan, le bozze delle leggi di Bilancio dei paesi europei a margine di una cena a Parigi tenuta nelle sede dei rappresentanti della stampa estera.
I “soliti sospetti” in effetti hanno tutti la stessa malattia: gli effetti perversi delle politiche di austerità che in tempo di crisi frena la crescita, i consumi, gli investimenti e mette alle corde i conti pubblici.
Così le bozze dei piani di bilancio sono tutte un florilegio di attenuanti eccezionali: l’Austria elenca la crisi dei migranti, l’aumento dei richiedenti asilo, il pericolo del terrorismo, la cyber-war e i salvataggi bancari. Tutti gli altri ricordano gli effetti della Brexit (ammettendo però che non se ne conoscono ancora gli effetti) e il calo della crescita e del commercio globale. Parigi, ad esempio, punta le carte del rilancio dell’export transalpino sulla ripresa di Brasile e Russia, mentre è pessimista su Turchia e Cina.
L’Irlanda, invece, guarda con preoccupazione a Londra, ma spera soprattutto nella tenuta degli Stati Uniti e delle sue multinazionali che hanno scelto Dublino come base europea nonostante il commissario europeo alla concorrenza Margrethe Vestager abbia aperto le ostilità.
Tutti ammettono che la crescita 2017 sarà modesta (salvo l’Irlanda che stima un Pil al 3,5%) ma è sul deficit che si apre la vera partita a scacchi. Parigi ammette quest’anno un disavanzo superiore al limite di Maastrich (-3,3%) e in lieve calo nel 2017 (-2,7%), mentre il Belgio lotta con i centesimi per non superare la fatidica soglia stimando un deficit 2016 a -2,96% mentre l’anno prossimo dovrebbe scendere a -1,68%.
La nordica Finlandia con un deficit a -2,4% e -2,6% nel biennio 2016-17 e un debito al 66,7% ricorda con nostalgia i tempi di quando faceva parte dei primi della classe e bacchettava la Grecia, unico paese ancora sotto tutela diretta della troika.
Anche Madrid non ride: nel primo anno alla Moncloa, Mariano Rajoy ha chiuso il bilancio con un disavanzo al 10,4% del Pil, poi ha iniziato a recuperare riuscendo ad arrivare solo al 5,1% nel 2015. Ora si parla di -4,6% nel 2016 e -3,6% nel 2017 ma con un disavanzo strutturale del -2,7% nel biennio 2016-17 (cioè al netto delle manovre una tantum). Quella del forte “disavanzo strutturale” è una malattia comune anche al Portogallo (-1,7% e -1-1%) un fattore di preoccupazione per la Commissione soprattutto quando si ha un debito lusitano che viaggia al 129,7% del Pil e dovrebbe calare nel 2017 al 128,3 per cento. Ma anche il Belgio risente di questa incapacità a ridurre il disavanzo strutturale (-2,4% e -1,1%) come pure l’Irlanda ( -1,9% e -1,1%).
Le manovre una tantum sono utili a rimettere in sesto il bilancio in tempi rapidi, ma Bruxelles non le ama perché le considera operazioni non risolutive. E ciò che Bruxelles detesta maggiormente è quando il deficit strutturale non diminuisce .
Ultima osservazione sulle bozze dei piani di bilancio: sono una babele linguistica: Italia, Francia, Portogallo, Finlandia e Irlanda hanno usato l’inglese, la Spagna lo spagnolo, l’Austria il tedesco e il Belgio il francese e il fiammingo. Usare una lingua veicolare non sarebbe una buona idea?