Il principale problema della Gran Bretagna non è Trump. È l’allentamento dei suoi collegamenti con l’Europa, scrive Natalie Nougayrède, opinionista del Guardian. Una visione condivisibile perché Natalie è una attenta e profonda conoscitrice della realtà britannica e internazionale e perché le speciali relazioni tra gli Stati Uniti di Donald Trump sono ormai sommerse se non affondate dai tweet del presidente americano che vede Londra sempre meno strategica dopo il suo allontanamento dall’Unione europea.
Sembra una legge del contrappasso dantesco: Londra non è più così importante per Washington dopo che si sta avvicinando alla politica isolazionista trumpiana dell'”America First”, prima l’America seguendone le orme con un improbabile “Great Britain First”. Ma l’allontanamento da Bruxells che si avvina se venissero superati i tre problemi ancora aperti: la cifra del divorzio, lo status dei cittadini europei in Gran Bretagna e, infine, il confine tra Ulster e Irlanda, sarebbe un passo verso l’irrilevanza britannica agli occhi americani. Basta guardare l’atteggiamento pragmatico delle banche di investimento americane oggi residenti a Londra che stanno traslocando armi e bagagli verso Francoforte, Parigi, Milano e Paesi dell’Est. Così farà Foggy Bottom, il Dipartimento di Stato americano che comincerà a guardare con sempre maggior interesse direttamente alle cancellerie del Continente europeo per cercare di influenzarne le scelte lasciando Londra marginalizzata nello scacchiere.
Londra dovrebbe trovare un modo per ripensarci: uno yo yo policy, una politica allo yo-yo. Non è troppo tardi per fare marcia indietro. Non spetta a Bruxelles fare la prima mossa ma a Londra. Decider di tornare in uno splendido isolamento rischia di costare molto in termini economici e politici. La tradizione pragmatica britannica saprà trovare una soluzione all’intricata matassa di Brexit.