Ora al quarto giorno delle violenze appare chiaro che l’Iran stia vivendo la sua più grande rivolta popolare di massa dal 1979, anno in cui cadde il regime dello Scià Reza Pahlavi sostituito dalla teocrazia della Repubblica islamica voluta dall’ayatollah Khomeini. Inoltre il livello di violenza e rabbia rivoluzionaria scatenatesi all’improvviso e senza nessuna regia centralizzata contro la Repubblica islamica sembra aver superato la Rivolta dell’Onda verde del 2009 guidata da Karroubi e Moussavi oggi agli arresti domiciliari.
I dimostranti stanno attaccando tutti i simboli della Repubblica Islamica in tutto l’Iran, in particolare contro la Guida suprema della Repubblica islamica Khamanei e le Guardie Rivoluzionarie, i pretoriani del regime. Ci sono alcune considerazioni che possono essere tratte in queste fasi preliminari e ancora confuse: la rivolta non è iniziata come quella dell’Onda Verde nel 2009 a Teheran, la capitale, ma a Mashhad, estrema periferia orientale del Paese, ma la protesta popolare si è diffusa rapidamente come un fuoco in una sterpaglia secca grazie ai social media e a una situazione sociale esplosiva di cui nessun analista occidentale aveva saputo prevedere la gravità.
Il movimento di protesta popolare, a differenza del 2009, sembra essere del tutto spontaneo, senza una leadership riconosciuta e senza distinzioni tra movimenti in città e nelle campagne. Naturalmente a favorire la protesta è stato il disastroso corso dell’economia, gli aumenti dei prezzi alimentari, la disoccupazione giovanile e la corruzione dilagante. Non si possono escludere anche il peso della pesante repressione sociale e poliziesca, la sempre maggiore intolleranza religiosa e le costose spedizioni militari in Siria e Iraq, sebbene vittoriose. Ma una cosa appare sempre più chiara: gli iraniani ne hanno abbastanza di questo regime e delle sue incapacità di dare un futuro migliore alla massa giovanile del milione e mezzo di giovani tra diplomati e laureati che ogni anno vogliono entrare nel mondo del lavoro. I giovani e il loro spontaneismo come quella della ragazza che si è tolta il velo pubblicamente a Teharan, subito diventata una icona della rivoluzione e subito arrestata, sembrano essere i protagonisti della rivolta di questo fine dicembre del 2017.
I dimostranti non confidano più nemmeno nel movimento riformista del presidente Moussavi che viene considerato parte del regime. Infatti la protesta popolare è diretta contro tutto il sistema politico iraniano della Repubblica islamica, sebbene il centro della rabbia popolare sia diretta contro Khamenei, la Guida suprema, il cui silenzio finora è assordante.
I dimostranti infine sono decisi a far saltare il regime poiché hanno attaccato gli uffici governativi, le sedi delle forze di sicurezza, le basi della Guardia Rivoluzionaria e qualsiasi simbolo associato alla Repubblica Islamica. Alcuni dimostranti hanno inoltre rotto un tabù inneggiando al ritorno della dinastia dei Pahlavi.
Gli eventi della giornata – Quarto giorno di manifestazioni di piazza in Iran. Iniziate per protesta contro il carovita e un’economia in crisi profonda – soprattutto per la gente comune, nonostante la revoca delle sanzioni dopo l’accordo con la comunità internazionale sul nucleare -, poi trasformatesi in dimostrazioni anti-governative e contro la corruzione del regime.
Negli scontri della notte scorsa almeno due persone sono morte a Doroud, nel Lorestan. Sei le vittime secondo altre fonti, non ufficiali. Nella sola Teheran inoltre sono stati arrestati 200 manifestanti, alcuni dei quali già rilasciati, e una quarantina di leader della protesta, accusati di aver organizzato “manifestazioni illegali” e di aver danneggiato proprietà pubbliche, ha reso noto il vicegovernatore della capitale Nasser Bakht. E proprio per evitare i raduni di strada le autorità hanno bloccato, anche se “solo temporaneamente”, l’accesso ai social netowrk, in particolare Telegram e Instagram. Questa potrebbe essere una mossa determinante nella lotta per il controllo dell’opinione pubblica. Nel 2009 fu soprattutto l’uso di Facebook a scandire i ritmi della protesta.
In serata è intervenuto per la prima volta dall’inizio delle proteste il presidente iraniano Hassan Rouhani che ha parlato in
un incontro del governo trasmesso dalla tv di Stato. “Il popolo iraniano è libero di manifestare”, basta che le proteste “siano
autorizzate e legali” e che non si trasformino in violenza. “Una cosa è la critica – ha detto – un’altra la violenza e la distruzione della proprietà pubblica”. Basetrà a fermare la rabbia popolare? Sono in molti a dubitare.
Pur criticando l’inquilino della Casa Bianca Trump per le sue “interferenze” e il sostegno su Twitter agli iraniani in piazza, Rouhani ha dovuto ricnoscere tuttavia che il popolo non è solo preoccupato per motivi economici, ma anche “per la corruzione e la trasparenza”.
“La gente finalmente ha capito che i loro soldi e il loro benessere viene sperperato per il terrorismo – aveva twittato Trump -.Sembra che gli iraniani non ne possano più. Gli Usa vigilano su eventuali violazioni dei diritti umani”. Ma la posizione degli Usa appare irrilevante sul corso degli eventi in corso a Teheran. Il “Grande Satana” secondo la famosa definizione di Khomeini dell’America non pare influenzare i rivoltosi che in questo sembrano post-ideologici.