Un nuovo governo in Italia è ancora lontano, ma nel frattempo è lecito porsi la domanda di cosa dovrebbe fare il nuovo ministro degli Esteri. Quale agenda, dei nostri interessi nazionali, dovrebbe avere il nuovo responsabile della Farnesina ben chiara appesa alla parete nel suo studio per cercare di dare forza alla nostra diplomazia nel mondo?
Primo punto da tenere in mente: non dimenticare che gli Stati Uniti restano la prima superpotenza nel globo e nessuno si può permettere di ignorare questo caposaldo. Prima delle elezioni presidenziali americane del 2016, l’Italia ha puntato apertamente su Hillary Clinton rispetto a Donald Trump e non è stata una mossa né saggia né azzeccata. Purtroppo in diplomazia queste sono mosse che non si dimenticano sebbene tutti facciano finta nei colloqui di non ricordarsene. Nel frattempo a Washington la situazione è molto cambiata: il primo consulente per la Sicurezza nazionale, Michael Flynn, ha dovuto lasciare l’incarico al generale H.R. McMaster che a sua volta ha dovuto fare le valigie.
Gli ultimi cambiamenti nella squadra per la politia estera del presidente degli Stati Uniti – la nomina di John Bolton come nuovo consigliere per la sicurezza nazionale e Mike Pompeo, ex capo della Cia, come segretario di Stato al posto del manager petrolifero Rex Tillerson- richiederanno che il nuovo ministro degli Esteri italiano si presenti senza troppi indugi a Washington prima che ci siano ulteriori giravolte alla Casa Bianca. L’incertezza militare e politica in Afghanistan, in Medio Oriente, nei Balcani, in Libia e in genere nel Mediterraneo sono tutti elementi che fanno restare l’Italia sotto i riflettori e quindi Roma ha ancora, dopo la fine della Guerra fredda (se di fine possiamo ancora parlare visto le ultime turbolenti vicende diplomatiche con la Russia di Putin), una certa importanza geopolitica e peso strategico. Ma una volta formato l’esecutivo non si deve perdere tempo e battere il ferro finché è caldo.
Secondo punto da tenere a mente. L’Italia, con le sue numerosissime basi della Nato, rimane un alleato strategico in una regione incerta e instabile e questo è qualcosa che i nuovi capi del Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti e il Dipartimento di Stato non possono certo ignorare. John Bolton, un “falco”, conosce bene l’Italia per averla frequentata soprattutto ai tempi della guerra in Iraq contro Saddam Hussein. Un suo intervento sulla sicurezza al vertice Aspen a Venenzia si tenne proprio nei giorni seguenti la strage di Nassirya che provocò 19 morti italiani. Era il 12 novembre del 2003 e a Washington era il tempo dei cosiddetti Neo-Cons mentre la Francia di Chirac e la Germania di Schroeder erano profondamente contrari all’intervento militare a Baghdad e infatti restarono fuori dal conflitto con grave disappunto dell’allora amministrazione Bush di cui Bolton era un uomo di punta.
Terzo punto da non dimenticare. La diplomazia economica per un paese esportatore come l’Italia e seconda potenza manifatturiera dell’Eurozona è una politica importantissima da seguire con molta attenzione. In un mondo globale dove il vecchio ordine va declinando, si dovrà essere pronti a negoziare senza tregua per evitare dazi e nuove barriere ai commerci o ad essere pronti a sostenere ritorsioni commerciali. Come ha ricordato sul Sole 24 ore del 29 marzo 2018 Adriana Castagnoli: “Poiché è evidente che, anche se l’obiettivo immediato delle misure protezionistiche di Trump è Pechino, l’Europa manifatturiera e agricola – e in particolare la Germania con la sua industria meccanica e automobilistica – resta nel mirino dell’amministrazione Usa che, nel tentativo di ridurre il gap commerciale, potrebbe imporre quote e restrizioni all’import in primis di acciaio e alluminio”. Insomma attenzione alla erosione delle regole del commercio mondiale che tendono a diventare, con l’azione di Trump, sistemiche. E se la Germania ha un surplus commerciale con gli Usa di 49 miliardi di euro annui nel 2016 l’Italia ne ha 23 miliardi, circa la metà. Insomma subito dopo la Germania ci siamo noi nel mirino del Dipartimento al commercio americano.
Recentemente l’assistente al Segretario di Stato per gli affari europei Wess Mitchell ha visitato parecchi paesi nel Mediterraneo e ora i diplomatici di Foggy Bottom (come viene chiamata la Farnesina sul Potomac) hanno avuto un aggiornamento degli sviluppi nell’area. Alle Primavere arabe e subentrato l’inverno ma non tutti i semi di quella stagione sono andati distrutti. Certo c’è il contenimento della Cina e della Corea del Nord in Asia, della Russia in Ucraina, nei Baltici e in Siria, ma subito dopo c’è l’Europa e il Mediterraneo con i Balcani sempre un’area di instabilità e scontro con Mosca. In questo quadro sarebbe opportuno che Roma, un volta formato il nuovo governo, stabilisca canali di comunicazione con i nuovi potenti di Foggy Bottom – Bolton e Pompeo – il prima possibile e senza indugi. Magari con una contestuale visita al Dipartimento al commercio guidato di Wilbur Ross.