Il debito totale (includendo famiglie, imprese non finanziarie e debito pubblico) è cresciuto del 74% dalla crisi del 2008 passando da 97mila miliardi di dollari nel 2007 a 169mila miliardi di dollari nel primo semestre del 2017 a cambi costanti. Ma c’è di più. Il debito pubblico rappresenta il 43% di questo aumento; la crescita del debito societario non finanziario, è quasi altrettanto grande secondo il recente report di giugno del McKinsey Global Institute intitolato “Rising Corporate debt, peril or promise?”.
Come si spiega questa svolta epocale? Dopo la crisi finanziaria del 2008 molte grandi società sono passate al finanziamento obbligazionario perché le banche commerciali erano molto più caute nel concedere prestiti. Oggi, quasi il 20% del debito societario totale è costituito da obbligazioni, circa il doppio della quota nel 2007.
L’emissione di obbligazioni societarie non finanziarie annuali è aumentata di 2,5 volte, da 800 miliardi di dollari nel 2007 a 2mila miliardi di dollari nel 2017. Così il valore globale delle obbligazioni societarie in circolazione è aumentato di 2,7 volte dal 2007 arrivando a 11,7mila miliardi di dollari, raddoppiando come percentuale del Pil.
Diversificazione e rischi
Il tanto atteso aumento delle obbligazioni societarie e la diversificazione del finanziamento aziendale è avvenuto ed è una cosa positiva dicono gli esperti McKinsey tra cui Susan Lund coautrice del report. Ma ci sono dei rischi all’orizzonte. Le obbligazioni societarie “non investment grade” hanno quasi quadruplicato le loro dimensioni negli ultimi dieci anni, raggiungendo 1,7mila miliardi di dollari. Secondo il McKinsey Global Institute tra il 2018 e il 2022, andranno in scadenza (e quindi andranno rifinanziate) all’anno un totale record a livello globale tra 1,6mila miliardi e i 2,1mila miliardi di obbligazioni societarie, che vuol dire 10mila miliardi di dollari nei prossimi cinque anni.
L’analisi del McKinsey Global Institute mostra che alcuni di queste emittenti hanno finanze fragili e le insolvenze aziendali sono già al di sopra della media a lungo termine. Insomma ci sono già da tempo dei campanelli di allarme che stanno suonando e che andrebbero ascoltati più attentamente.
I bond societari di Brasile, Cina e India
Anche con i bassi tassi di interesse attuali (la festa del denaro a basso costo è ormai finita) , dal 20 al 25 percento delle obbligazioni societarie in Brasile, Cina e India sono al rischio più elevato di insolvenza (emesse da società con un tasso di copertura degli interessi inferiore a 1,5). Nella simulazione MGI con un aumento di 200 punti base dei tassi di interesse, quella quota potrebbe aumentare dal 30 al 40%.
La lezione della crisi dei mutui subprime
Molti economisti ritengono che la lezione di Lehamn Brother non sia stata capita fino in fondo. Si doveva correggere una bolla del debito ma quello che invece è stato fatto è stato creare più debito. Possibile?
Mentre le precedenti crisi del debito sono state causate dai mutui subprime negli Stati Uniti e, in seguito, dei debiti sovrani europei, questa volta, e sarebbe la terza crisi in dieci anni, la preoccupazione si concentra sulle società dei mercati emergenti che hanno preso a prestito dollari ed euro a tassi più vantaggiosi ma che ora si trovano in difficoltà con ricavi in monete locali svalutate.
La prospettiva di una nuova crisi del debito è sorprendente perché il mondo ne ha già visti due negli ultimi 10 anni.
Interessante notare che una volta le crisi arrivano in seguito a una recessione che stressava le finanze pubbliche e che portava ad un aumento del debito pubblico, mentre ora c’è un surriscaldamento con mega deficit delle partite correnti con l’estero, un alto tasso di leverage e un’economia forte fino al momento della fuga dei capitali esteri. Spesso con basso debito pubblico che, nel caso turco, è addirittura solo al 30% del Pil, ben al di sotto del limite del 60% previsto dal Trattato di Maastricht.
Vero è che le autorità negli Stati Uniti e in Europa hanno preso provvedimenti dopo la crisi del 2008 per evitare che si ripresentassero altre crisi. I regolatori degli Stati Uniti e in Europa hanno richiesto alle banche di detenere un numero significativamente maggiore di riserve di emergenza e di essere più selettivi. I consumatori statunitensi hanno ridotto i loro debiti (mutui, auto, carte di credito) a 13mila miliardi di dollari sebbene permangano bolle del debito come i prestiti agli studenti universitari (1.400 miliardi). In Europa, la Commissione europea ha vigilato sui paesi per ridurre i deficit pubblici, con programmi di austerità e smaltire gli NPL.
Tuttavia, il debito globale è cresciuto a 169mila miliardi di dollari ed è più di due volte la dimensione dell’economia globale, pari secondo a Banca Mondiale a 80,684mila miliardi di dollari nel 2017. Dopo 10 anni dal fallimento di Lehman Brother ora sembra che il pericolo giunga dai mercati emergenti. Nel gennaio 2016 scrivevo nel mio libro Un mondo in tempesta, la prossima crisi: “Come sarà il nuovo contesto generale, il new normal? Siamo di fronte a un bivio e non lo sappiamo. Due opzioni si manifestano davanti a noi nei prossimi tempi: uscita dalla peggiore crisi dopo la Grande depressione del ’29 o un colpo di coda della Grande recessione del 2007, causata questa volta dagli squilibri dei mercati emergenti?”. Ho sbagliato la tempistica, non la direzione.