L’utile netto rettificato per il 2018 di UniCredit si è assestato a 3,89 miliardi di euro in rialzo del 7,7% rispetto al 2017, di cui 1,7 dall’Europa Centro Orientale, 1,4 dall’Italia, 0,37 dalla Germania e lo 0,43 dall’Austria. Appare evidente che la parte del leone l’ha fatta l’Europa centro-orientale (nonostante la cessione del gioiellino della banca polacca Pekao) e l’Italia, con Germania e Austria in fondo alla speciale classifica. Dal punto di vista patrimoniale, il CET1 ratio fully loaded è al 12,07% (13,6% nel 2017 ). Anche i costi operativi meritano una analisi supplementare per aree geografiche. Nel 2018 la voce del cost/income (rapporto oneri operativi sul margine d’intermediazione) è stato del 54,2% (era il 56,9% un anno prima). Anche qui una specifica per aree può essere illuminante: il cost/income in Germania è stato del 69%, in Austria del 65,3%, in Italia del 56,9% e nella Europa centro orientale di appena il 36,7%. Aggiungiamo che nel quarto trimestre UniCredt ha ammesso, come è avvenuto ad altri concorrenti come UBS, BNP Paribas e Société Générale, che il settore dei ricavi nel trading ha perso il 59% a causa di condizioni particolamente avverse e scarsa propensione al rischio dei clienti. Ma la scarsa performance dell’investment banking è stato compensato ancora una volta dai buoni risultati dei ricavi della banca commerciale in Italia e e nell’Est Europa.
Ovviamente il contenimento dei costi, laddove le normative nazionali lo hanno permesso, è anche il frutto della strategia complessiva di riordino della rete di filiali e della riduzione dei dipendenti all’interno del gruppo bancario europeo. Infatti la chiusura delle filiali è arrivata al 93% del totale previsto dei 944 sportelli da chiudere su più di 5mila complessivi. Quanto al target dell’uscita di circa 14.000 unità questo obiettivo è già stato raggiunto.