La Libia sta diventando sempre più in un campo di battaglia dove la Russia di Vladimir Putin e la Turchia di Recep Taiyyp Erdogan, al potere da 18 anni consecutivi, si trovano, come avvenne con la Siria, su fronti contrapposti nonostante Ankara abbia buoni rapporti con Mosca al punto da aver acquistato sistemi missilistici russi S-400 nonostante la ovvia contrarietà Nato e degli Stati Uniti che hanno bloccato ogni aiuto economico a sostegno della lira turca come ritorsione.
Tripoli ha lanciato l’allarme di una esclation dopo che la Russia ha deciso di inviare nuovi aerei al generale Haftar: gli otto aerei russi inviati in Libia ad Haftar sarebbero sei caccia di tipo MiG 29 e due cacciabombardieri Sukhoi 24: lo precisa il sito di Bloomberg sintetizzando quanto riferito dal ministro dell’Interno libico Fathi Bashagha. Basandosi su “informazioni ricevute dal Governo di accordo nazionale” di cui Fayez al-Sarraj è premier, il ministro ha precisato inoltre che gli aerei sono arrivati dalla base controllata dalla Russia in Siria ‘Hmeimim’ scortati “da due SU-35 dell’aviazione russa”.
La Turchia si è detta pronta a reagire se attaccata ed è decisa a consolidare la propria presenza nel Mediterraneo orientale e proteggere i propri interessi al largo di Cipro (divisa in due dal 1974 in seguito all’invasione turca dopo un tentativo fallito di unificazione con la Grecia) anche con la presenza militare in Libia. Una strategia che ha messo in allarme l’Unione europea che in un vertice a Berlino ha tentato di imporre un cessate il fuoco senza molto successo.
L’invio di militari segue la firma di due protocolli tra il governo di Tripoli di Fayez al Serraj riconoscuto dall’Onu ed il presidente turco filo-islamico Erdogan, il primo relativo al riconoscimento (ampliamento illegittimo secondo la Grecia e l’Egitto) della giurisdizione turca su un tratto di mare al largo del Mediterraneo; il secondo riguardante forme di cooperazione militare tra i due eserciti. La mozione approvata dal Parlamento di Ankara dal partito islamico di Erdogan Akp e dal partito nazionalista di Devlet Bacehli (MHP, gli eredi dei Lupi Grigi) parla di un invio di truppe mirato “a sostenere il governo legittimo di Tripoli”, difendere “i diritti della Turchia sanciti dai protocolli siglati dai due governi”, prevenire “una rinascita di gruppi terroristici come Al Qaeda e Isis” cosi’ come “migrazioni di massa” e garantire “pace e stabilita’” attraverso il rilancio “di un processo politico e diplomatico”.
Al di là del testo della mozione è chiaro il messaggio di Erdogan, che non tollererà alcuna mossa mirata a escludere la Turchia dalla gestione delle risorse energetiche del Mediterraneo orientale. Una risposta chiara a Grecia, Cipro, Israele, Egitto, Emirati e Arabia Saudita. Con Ankara che aggiunge un nuovo tassello alla cooperazione già in atto con Qatar (che ha aumentato gli aiuti finanziari ad Ankara con uno swap triplicato a sostegno della lira in calo sul dollaro), Somalia, Sudan e Gibuti. Oltre all’invio del contingente militare, Erdogan pensa a stabilire una base navale in Libia, che gli consentirebbe di aumentare il proprio peso nell’area, esattamente come avvenuto con la base militare in Qatar, centrale per la Turchia per giocare un ruolo nelle tensioni del Golfo. Una base navale consentirebbe inoltre ad Ankara di avere un appoggio logistico per addestrare gli uomini di Serraj e fornire loro sostegno logistico e tecnico in maniera assai più concreta; un’opzione che si spinge oltre la semplice difesa degli interessi nazionali e la prevenzione di una rinascita del terrorismo e di una crisi umanitaria, fino a sancire una presenza stabile della Turchia nel mediterraneo orientale e dare la possibilità ad Ankara di lanciare un’offensiva militare per difendere i propri interessi e prevenire la possibilità di essere tagliata fuori dalla gestione delle risorse energetiche al largo di Cipro. Sono in molti però a dubitare che Erdogan si impegni veramente in modo massiccio in Libia. Dal punto di vista militare, l’esercito turco non ha la capacità di sostenere un’operazione militare così lontana dal proprio territorio, così come dal punto di vista diplomatico è improbabile che Erdogan invii un contingente militare, in particolare dopo la recente offensiva in Siria. Ma in Medio Oriente mai dire mai.