I rischi di una Turchia che guarda al passato ottomano

Sono in molti a chiedersi dove voglia spingersi la sfida di Erdogan ai diritti economici dei paesi vicini e più in generale allo status quo delineato dalle potenze occidentali nel Medio Oriente, nel Nord Africa e nel Mediterraneo orientale.  Dopo aver trasformato la monumentale Haghia Sophia in moschea, ha trasformata un’altra ex basilica bizantina, la chiesa di Chora del IV secolo, una delle più antiche strutture bizantine di Istanbul in un luogo di preghiera islamica. Segno che il progetto non è episodico, ma vuole riportare la Turchia moderna, secolare e laica di Kemal Ataturk ai tempi degli Ottomani. Insomma sembra che sia proprio la trasformazione della Repubblica secolare e filo occidentale sorta dalle ceneri ottomane nel 1923 dopo la sconfitta della Prima guerra mondiale il vero obiettivo del progetto di restaurazione ottomana di Erdogan. Ma ricorrere alla tradizione ottomana comporta riflettere anche sul concetto imperiale, cioè vedere il paese sul Bosforo non solo come potenza regionale, ma come potenza che potrebbe  confrontarsi in futuro con l’Egitto e gli ayatollah dell’Iran per la supremazia sul mondo islamico.

Un dinamismo in politica estera che non trascura affatto gli aspetti economici. Non a caso Erdogan ha annunciato la scoperta del più grande deposito di gas naturale nel Mar Nero e ha portato avanti le sue ambizioni sui posssibili  giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo orientale opponendosi ai diritti rivendicati sulle zone economiche di mare di Grecia e Cipro. In sostanza Erdogan vorrebbe trasformare la Turchia da semplice hub energetico, di luogo di transito di gasdotti e oleodotti in vero e proprio produttore di energia.

Di fronte a queste sfide la Francia di Macron ha preso posizione lanciando un segnale ad Ankara invitandola alla moderazione e al dialogo. La Ue è pur sempre il maggior partner commerciale di Ankara. Ma c’è di più. Erdogan è tornato ad essere un protagonista tra le fazioni bellligeranti in Siria, in Libia e nello Yemen senza trascurare il Corno d’Africa e in particolare la Somalia. Recentemente il presidente Erdogan ha accolto una delegazione di Hamas ad Ankara, dove ha espresso sostegno ai palestinesi dopo il  recente storico annuncio di un accordo tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti fortemente sostenuto e voluto dall’amministrazione Trump. E’ possibile che in futuro il disempegno americano da questi fronti caldi costringa gli europei ad occuparsene in prima persona e a quel punto Bruxelles dovrà trovare un nuovo punto di accordo con la Turchia che ha, tra l’altro, le chiavi della rotta balcanica dei migranti.