Non sarà una passeggiata la presidenza di Joe Biden (78 anni). E non solo per l’offensiva legale che Donald Trump potrebbe scatenenare contro il risultato delle elezioni ma anche per l’opposizione che l’ex presidente repubblicano sarà in grado di mobilitare nel paese profondamente diviso e polarizzato. E soprattutto per l’opposizione del Senato che restando (probabilmente) in mano ai Repubblicani lo costringerà a continue e faticose mediazioni e a mettere in soffitta la maggior parte del suo programma di sinistra in tema di aumento delle tasse per società e persone fisiche più abbienti e potenziamento delle politiche a favore delle energie rinnovabili.
Anche in politica estera ci sono molti danni da riparare con gli alleati ma la strada è in salita. Biden conosce molto bene l’Europa: presidente per tre lustri della Commissione Esteri del Senato, aveva cominciato a occuparsi di affari internazionali nel 1997 ma all’inizio del suo mandato dovrà soprattutto occuparsi di politica interna e non sarà una mission facile. Non a caso Obama, tra i molti incarichi, gli aveva affidato nel 2008 quello di affrontare il “disastro” della crisi economica dal punto di vista della classe media, da lui definita “la spina dorsale del Paese”.
Ora Biden può tentare di proseguire quel lavoro che aveva iniziato con Barack Obama, ma secondo l’Editorial Board del Wall Street Journal lo scenario del prossimo Congresso contraddice l’agenda che finora è stata portata avanti dai dem durante la campagna perché “la notizia più importante è che Mitch McConnell tornerà probabilmente come leader della maggioranza al Senato per tormentare i sogni dei democratici per altri due anni”.
Il tentativo degli sconfitti di rovinare la festa a Biden? Non proprio e non solo. E’ molto probabile che Biden e Harris dovranno ogni volta fare una chiamata dalla Casa Bianca al Senato per provare a ammorbidire uno come McConnell che il WSJ chiama “Mitch the Knife”, “Mitch il coltello”. Insomma un osso duro anche per uno come Biden il pontiere abituato a mediare tra le due sponde della politica americana. Biden ad esempio era molto amico di John McCain, senatore repubblicano dell’Arizona, eroe della guerra in Vietnam e una delle figure più popolari della politica statunitense morto per tumore come avvenuto al figlio maggiore di Biden stesso, Beau. Nel 2016, devastato dal lutto del figlio, Biden rifiutò di candidarsi lasciando campo libero a Hillary Clinton. E non fu una mossa fortunata per il partito democratico.
Ora Biden ci riprova, ma i numeri della Camera e del Senato sono il segnale della debolezza del programma politico del partito che si manifesterà nel negoziato in aula con i repubblicani.
Pur avendo iniettato “centinaia di milioni di dollari” nelle sfide “contro Lindsey Graham in South Carolina e in Kentucky contro McConnell” i dem infatti “hanno perso” con numeri “a due cifre”. Alla Camera la Speaker Nancy Pelosi avrà numeri inferiori (il Gop ha finora guadagnato 6 seggi e i dem ne hanno 5 in meno, 209 a 190 è il calcolo parziale). Non solo. In queste condizioni, con il Senato controllato dal Gop e la Camera indebolita, i repubblicani sono nelle condizioni di pensare di riconquistare la Camera nelle elezioni di Midterm del 2022.
Un eccesso di pessimismo? No il paese è fortemente polarizzato e il messaggio dei repubblicani sull’economia è stato spesso più convincente. I dem avevano una ricetta fatta di lockdown e aiuti di Stato, deficit alle stelle e aumento delle imposte. Così hanno perso il supporto del piccolo business proprio tra le minoranze che hanno in passato sempre cercato di rappresentare.
Lo scenario va proiettato sulle politiche della Casa Bianca: l’alleanza tra il programma dell’ala liberal guidata da Bernie Sanders (ma Ocasio Cortez è in ascesa) e il centrista Joe Biden rischia di svanire, perché con il Senato controllato dai repubblicani non ci sarà nessuna riforma per aumentare le tasse (e tassare gli utili delle aziende, per questo Wall Street ha festeggiato). Non solo. Nessuna agenda verde (e niente stop al fracking per estrarre lo shale oil e gas), nessun aumento del numero dei giudici per cambiare il colore politico della maggioranza della Corte Suprema (a maggioranza conservatrice, 6 a 3). Tutto questo, nel nuovo scenario di Camera e Senato, rischia di restare solo promesse elettorali della campagna presidenziale, la realtà del lavoro legislativo sarà diversa. A meno che Joe Biden sappia recuperare l’anima dell’America Dream.