Il secondo tempo della crisi finanziaria, quella con l’Europa protagonista, sta rischiando di trascinare il mondo in recessione. La prima parte della tormentata vicenda è iniziata nel 2008 quando l’attore principale sul palcoscenico era l’America, le cui falle sono state tamponate prima da George W. Bush e poi da Barack Obama. Tamponate, ma non ancora ricucite perché come scriveva John Cassidy sul New Yorker, sotto il limite dei 75mila nuovi posti di lavoro sarà un colpo per Obama, sopra i 150mila un colpo per Romney. Ieri ne sono stati creati solo 80mila: appena la sufficienza mentre la disoccupazione resta all’8,2 per cento. Questo vuol dire che gli americani andranno alle urne flirtando con la recessione.
Dopo la crisi americana, con le banche salvate dal Tarp, è arrivata la seconda parte della crisi dove i debiti pubblici europei hanno preso il palcoscenico. La crisi del debito sovrano europeo iniziata ad Atene e poi diffusasi nei periferici, ha messo in discussione la carente governance dell’euro, senza un’unione fiscale né politica.
<CW-26>In questa situazione i mercati hanno punito i Paesi spendaccioni e poco credibili. Ora, dopo ben 19 vertici europei tenuti a Bruxelles per risolvere questa seconda fase della crisi iniziata nel 2010 e che è soprattutto di carenza di governance, il debito europeo sta diminuendo, ma i mercati non se ne sono ancora accorti. Le parole del presidente della Bce, Mario Draghi, che ha parlato giovedì di secondo trimestre dove gli indicatori in Eurolandia vanno nella direzione di una contrazione e, ora, quelle del direttore generale dell’Fmi, Christine Lagarde, che rivede al ribasso le stime di crescita economica globale quest’anno, dopo quelle di aprile al 3,5%, per la debolezza in investimenti, lavoro e disoccupazione in Europa, Stati Uniti, Brasile, India e Cina, hanno messo di malumore i mercati.
</CW><CW-16>Negli Usa ormai si parla apertamente del Q3, il terzo quantitative easing, cioè di comprare ancora bond ed iniettare liquidità. Senza contare la seconda riduzione dei tassi cinesi in pochi mesi: due segnali che indicano come ormai la crisi europea sia vista con sempre maggiore apprensione da Usa e Cina. Senza per questo dimenticare i problemi interni di Washington, come non si stanca di ricordare Jim O’Neil, capo economista di Goldman Sachs (debito pubblico che aumenta di 100 miliardi in più ogni mese) e di Pechino (surriscaldamento finanziario e bolla immobiliare): che si stia scatenando ancora una volta la tempesta perfetta? Non lo pensiamo, seppure riteniamo che il focus della settimana sarà ancora una volta l’Eurogruppo di lunedì sperando che i primi della classe la smettano di tentare di rivedere gli accordi appena sottoscritti (vedi Finlandia) e che si prendano decisioni coerenti rispetto alla road map che si è appena delineata. Vigilanza bancaria, uso dell’Efsf-Esm per dare soldi direttamente alle banche e ridurre gli spread dei Paesi virtuosi.