Quando il nuovo Papa si è descritto come un Papa che viene quasi dalla fine del mondo mi è venuto in mente un vecchio libro di Bruce Chatwin, "Che ci faccio qui?", un diario di un viaggiatore inquieto in Patagonia, la terra del fuoco, in territorio argentino, ai confini del mondo e a un passo dai ghiacci del polo Sud. Un luogo dello spirito, più che un luogo geografico, la periferia del mondo conosciuto.
Perché, dunque, il Conclave è andato a cercare il nuovo Pontefice così lontano, alla fine del mondo come ha detto lo stesso Papa Francesco? Cioè in un luogo la cui definizione deriva dall’espressione latina Finis terrae, la "fine della terra?
La risposta forse è nella volontà dei cardinali che volevano un Papa americano, un Papa del Nuovo Mondo che affronti il tema del turbo-capitalismo, quello finanziario speculativo e senza regole, quel sistema che ci ha portato alla maggiore crisi economica sociale dal 1929. L’obiettivo del pontificato di Bergoglio, dell’americano Bergoglio, potrebbe essere proprio Wall Street, o meglio la centralità della finanza deregolamentata che ha colpito così duramente, per prima, l’Argentina, con le ricette neoliberiste che l’hanno portata prima al default e successivamente alla disperazione sociale per un decennio trasformandola (paese ricco di un’agricoltura esuberante) in un reietto della comunità finanziaria internazionale.
Papa Bergoglio, che prende la metropolitana e si cucina il pasto da solo, ha visto sulla pelle dei suoi amati argentini cosa è significato avere a che fare con l’Fmi che chiedeva politiche iper-liberiste sui conti senza intaccare gli oligopoli, causa prima della crisi, in un paese che aveva agganciato il pesos al dollaro in un tentativo di unione monetaria transamericana senza avere lo stesso grado di competitività né di stabilità finanziaria né di uno straccio di struttura politica in comune. Una follia economica (il Peg del ministro Domingo Cavallo) che ha portato il paese al default, a movimenti populisti in politica, alla sua uscita ancora oggi dal circuito dei prestiti internazionali, all'arricchimento delle élite finanziarie.
Perché dunque la scelta di Bergoglio al soglio di Pietro? Perché dopo il Papa che veniva da un altra periferia, quella dell’Impero sovietico, ora tocca a quello di un testimone dei terribili danni compiuti in un altra periferia dell’impero, quella del capitalismo senza regole, quello dove si smantella la legge sulla separazione delle banche commerciali da quelle di investimento, la Stegall-Glass di Roosevelt del 1933, e del "too big to fail", troppo grandi per fallire, dello shadow banking, del peso del sistema finanziario che secondo un recente report di McKinsey nel 2007 ha raggiunto il 355% del Pil mondiale e ora, dopo la crisi del 2008, è sceso solo al 312% del Pil del mondo. Una massa enorme di capitali, azioni, bond e prestiti bancari di cui solo, sempre secondo McKinsey, «un quarto è andato a finanziare società e famiglie. Una quota significativamente scarsa, visto che questo è lo scopo principale della finanza». Una assurdità economica.
Questo, dunque, potrebbe essere, a nostro modesto parere, il nuovo obiettivo geopolitico di Papa Bergoglio, il gesuita saldo nei principi morali tradizionali, contrario alla telogia della liberazione, ma altrettanto fermo a favore degli ultimi e per un’economia sociale di mercato, dove l’uomo non è al servizio dell’economia, ma è l’economia al servizio dell’uomo.
Un panorama di intervento dove sullo sfondo di queste posizioni, c’è la “profezia” di Papa Giovanni Paolo II che affermò: «Io ho visto la fine del comunismo, voi vedrete la fine del capitalismo di speculazione finanziaria». Un percorso che lo stesso Benedetto XVI aveva richiamato, il primo gennaio 2013 nel messaggio dedicato ai costruttori di pace, il tema della crisi economica e del ruolo di «un capitalismo finanziario sregolato» evidenziandone la minaccia per il raggiungimento del bene comune.
Non a caso il primo presidente afro-americano, Barack Obama ha compreso benisssimo quale sarà l’effetto geopolitico di questo pontificato americano, il primo della storia come la sua stessa presidenza. Riferendosi all’argentino Jorge Bergoglio, Obama ha spiegato che «in quanto difensore dei poveri e i più vulnerabili tra tutti noi, porta avanti un messaggio di amore e compassione che ha inspirato il mondo per oltre 2.000 anni, ossia che vediamo il volto di Dio in ognuno di noi». Cioè porterà avanti l’azione di riforma del sistema finanziario e fiscale Usa che lo stesso Obama ha cercato di far passare negli Stati Uniti, grazie anche al sostegno dei cattolici di origine ispanica che lo hanno votato in massa in entrambe le elezioni.
Ma Bergoglio sarà anche la continuazione di quella azione che il Papa polacco, Papa Wojtyla, aveva iniziato quando si oppose con fermezza alla guerra in Iraq, facendo adirare la Casa Bianca di George W. Bush, e quando, dopo aver scomunicato la teologia della liberazione, in Sud-America, cominciò l’attacco al turbo-capitalismo, che egli vedeva come un’aberrazione speculare al comunismo.
Ora Bergoglio raccoglierà quel testimone di Wojtyla e inizierà l’opera di smantellamento di quel meccanismo finanziario che dal 1980 si è liberato di regole auree degli anni Trenta, ha creato giganti finanziari più potenti degli stessi governi democratici e delle banche centrali da cui provengono spesso i suoi uomini migliori. Questo sarà il suo compito principale in politica estera. Non ci saranno novità in campo morale, ma molte in campo geopolitico e sociale. Una proposta di riforma che viene da molto lontano, dalla periferia estrema, «quasi dalla fine del mondo», come lo stesso Papa ci ha indicato fornendoci un fil rouge da percorrere per anticipare le sue scelte future.