L'economia turca e non solo la vita delle persone è stata colpita dall'islamizzazione strisciante che il governo Erdogan sta portando avanti per compiacere la sua base elettorale formata da conservatori religiosi anatolici. Basta guardare quello che avviene nell'attività economica della Efes. il maggior produttore di birra del paese mediterraneo i cui titoli in Borsa sono precipitati nelle ultime sttimane. Il sito web della società turca è stato bloccato in seguito all'entrata in vigore della nuova legge che vieta la vendita di alcool dalle 22 alle 6, nei luoghi distanti meno di cento metri da moschee e scuole e limita la pubblicità delle bevande alcooliche. La normativa proibizionista, firmata dal presidente Abdullah Gul, l'uomo del dialogo, è ormai in vigore. Così il sito della Efes è stata bloccato come si vede dal sito web della società: http://efespilsen.com.tr
La vicenda del divieto dell'alcool è stata uno degli elementi che hanno scatenato la protesta dei giovani di Gezi park dietro cui si nasconde la volontà di un ritorno a quella volontà di potenza ottomana, di islamizzazione striscianete, di fastidio delle regole democratiche a tutela delle minoranze di un potere sempre più autoreferenziale. L'arresto in massa di 73 avvocati a Istanbul rei di aver difeso i loro assistiti coinvolti negli scontri di piazza, pare un segnale preoccupante sul grado di tolleranza che aleggia nel Paese sul Bosforo.
In queste condizioni i Cds, i credit defaul swap, i derivati che funzionano come una assicurazione contro il rischio fallimento di un debito sovrano, non possono, come infatti avvenuto, che crescere, visto che l'instabilità del paese è destinata a salire. Peccato che la linea del pugno di ferro di Erdogan stia mettendo a rischio il miracolo economico turco: peccato anche che enessuno abbia ricordato che il successo economico attuale deve molto all'ex ministro dell'Economia di area laica, Kemal Dervish, e alle sue politiche di austerità e rigore nel 2001 di cui l'Akp ha tratto vantaggio. Ma ora quella eredità di stabilità macroeconomica sembra sul punto di essere gettata alle ortiche per compiacere una base elettorale anatolica che non sa interpretare la propria religione in rapporto alla modernità di uno stato laico.
Erdogan può così continuare a vincere alle elezioni l'anno prossimo ma può perdere il voto dei mercati che senza andare nell'urna votano tutti i giorni pesando la stabilità di un paese.
La Turchia è in una fase delicata della sua economia: dopo due anni di crescita sostenuta (9% medio nel biennio 2010-2011), il Pil ha rallentato nel 2012, registrando un incremento del PIL in termini reali del 2,2%. Il tasso tendenziale di espansione del PIL è passato dal 5,3% del 4° trimestre 2011 all’1,4% del 4° trimestre 2012. La frenata dell’economia ha favorito il parziale rientro degli squilibri, in particolare il deficit corrente, sceso al 6% del PIL nel 2012 dal 10% nel 2011, e l’inflazione, con il tasso tendenziale che si è portato al 6,1% a fine 2012 dal 10,4% a fine 2011.
Nel 2012 la domanda interna ha rallentato sensibilmente mentre il commercio estero ha dato un consistente apporto alla crescita. I consumi delle famiglie sono diminuiti in termini reali (-0,7% nel 2012 da +7,8% nel 2011), risentendo delle misure restrittive di politica monetaria attuate da ottobre 2011 sino alla prima metà del 2012 per rallentare la crescita del credito e per sostenere la moneta e della contrazione del reddito disponibile dovuta all’aumento dei prezzi e al deprezzamento del cambio. Pure gli investimenti sono scesi (-2,5%) risentendo principalmente del calo delle componenti costruzioni pubbliche e macchinari e impianti del settore privato. A fronte della contrazione della domanda interna, vi è stato un balzo delle esportazioni (+17,3% nel 2012), grazie alla sostenuta domanda per le merci turche proveniente dai paesi del MENA (la quota dell’export verso quest’area è salita al 34% nel 2012 dal 27% del 2011) che ha più che bilanciato il calo della domanda dall’Europa (la quota delle esportazioni verso l’Unione Europea è scesa al 38,8% nel 2012 dal 48% nel 2011). queste sono le cifre del cosidetto ri-orientamento dell'economia e dell'export turco: una fase delicata su cui la politica del pugno duro di Erdogan potrebbe creare un clima di incertezza pericoloso.