Un colpo al cerchio e uno alla botte. Il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha accontentato i suoi pii sostenitori islamici dell’Anatolia abolendo il divieto per i dipendenti pubblici di indossare il velo islamico sul luogo del lavoro, fatto fino a questo momento bandito da una sentenza della Corte costituzionale turca del 1989. Contemporaneamente ha promesso alla forte minoranza di etnia curda di abbassare la soglia minima per entrare il Parlamento dal 10 al 5%, oltre che di poter usare nelle scuole private altre lingue oltre al turco.
Un abile mix di concessioni e promesse volutamente un po’ vaghe fatte alle minoranze etniche e religiose, spesso già fatte in passato ma poi rimaste sulla carta, mentre la parte dei pacchetti "democratici" a favore dei suoi elettori anatolici è sempre stata approvata alla velocità della luce.
La cautela con cui la Ue nelle parole del portavoce del commissario all’Allargamento Stefan Fuele, ha accolto il progetto è significativa, memore di precedenti aperture poi naufragate in parlamento.
Il primo punto riguarda l’abolizione del divieto per i dipendenti pubblici di indossare il velo islamico nei luoghi pubblici, un caposaldo finora, in un paese al 99% islamico, della laicità dello stato. Una decisione che non ha mancato di far scattare le proteste del partito laico Chp, il cui vicepresidente, Umut Oran, ha affermato che il governo ha trasformato il paese in uno «stato di polizia».
Secondo i media, il provvedimento é destinato a suscitare proteste negli ambienti più laici: il decadimento del divieto, consentirà alle donne velate di candidarsi in Parlamento alle prossime elezioni e mettere in soffitta la laicità di Ataturk, il fondatore della Turchia moderna.
Il bando sul velo negli edifici pubblici sarà rimosso ad eccezione che per i giudici, i procuratori, i funzionari di polizia e i membri dell’esercito. Almeno per ora.
Per far digerire il boccone amaro per i laici della fine del divieto dell’uso del velo islamico nei luoghi pubblici, quindi anche nelle scuole, un simbolo forte a difesa della laicità statale, il premier turco ha anche annunciato il varo di alcune riforme a tutela dei diritti della comunità di etnia curda, un passaggio-chiave nella «road map» del processo di pace con il Pkk, il movimento separatista curdo e di alcune minoranze religiose tra cui gli aleviti.
«Le scuole private turche offriranno un’istruzione in lingua curda, a lungo vietata» ha spiegato il primo ministro turco. Il fatto è che il sud-est, dove vivono i 15 milioni di turchi di etnia curda, è l’area più povera del paese e i bambini curdi non hanno i mezzi economici per poter accedere a nessuna scuola privata.
Le campagne elettorali però potranno essere condotte in lingue diverse dal turco e potranno essere convertiti in lingua curda i nomi di alcune località turche. Vengono riconosciute anche le tre lettere X, Q e W, presenti nell’alfabeto curdo ma non in quello turco e proibite fino ad oggi.
Abolita anche l’inquietante esecuzione dell’inno nazionale nelle scuole pubbliche, che gli studenti recitavano tutte le mattine a squarciagola: «Sono turco, giusto, e lavoro bene» e che esaltava in toni militari l’appartenenza alla nazione turca.
Anche il partito curdo Bdp si è dichiarato insoddisfatto dal pacchetto di riforme annunciato poiché i curdi chiedono il diritto di studiare nella loro lingua nella scuola «pubblica», maggiore autonomia amministrativa del "Kurdistan", la modifica delle leggi anti-terrorismo e la liberazione delle migliaia di attivisti arrestati negli ultimi 40 anni.
Il pacchetto prevede anche qualche gesto verso le minoranze religiose, come la restituzione delle terre ingiustamente sequestrate allo splendido monastero cristiano siriaco di Mor Gabriel, ma niente riapertura del seminario greco ortodosso di Halki sull’isola di Heyebeliada nel Mar di Marmara.
Secondo i quotidiano Cumhuriyet, dopo le forti proteste di piazza di giugno il pacchetto di riforme annunciato dà il via alla campagna di Erdogan verso le presidenziali del 2014.
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