Ancora un fallimento in un anno, ancora un rinvio di sette mesi sullo spinoso dossier iraniano che viene discusso da 12 anni senza apprezzabili risultati. Ma chi ha vinto davvero a Vienna, sede dell’Aiea, l’agenzia sul nucleare dell’Onu sui negoziati iraniani? Sicuramente hanno vinto i conservatori di Teheran, i duri e puri del khomeinismo prima maniera, quelli del Grande Satana che non vogliono nessun accordo con l’Occidente per mantenere il controllo dell’economia di guerra del paese e il pugno duro verso il movimento dei progressisti dell’Onda Verde o per meglio dire di quello che ne resta ancora in libertà; i sostenitori della linea dura senza tentennamenti, per lo più repubblicani, nel Congresso degli Stati Uniti che si oppongono a un’intesa ad ogni costo, l’attaule leadership di Israele e le monarchie del Golfo arabo.
Peccato perché la finestra, l’opportunità apertasi dopo le elezioni del 2013 a Teheran con la inattesa vittoria del presidente moderato Hassan Rouhani, si sta rapidamente chiudendo. Un accordo con l’Iran si sta dimostrando più complesso di quello che si pensava, quasi un sogno impossibile, un mission impossible. Un vero peccato per la nostra economia in affanno e in cerca di nuovi mercati, per le nostre Pmi export-oriented e le nostre aziende maggiori che in quel paese sono conosciute ed apprezzate da decenni, dai tempi dell’Eni di Enrico Mattei, la cui immagine ancora campeggia all’ingresso della Nioc, la società petrolifera di stato a Teheran. Forse è stato un errore non partecipare ai negoziati del 5+1, pensando di mantenere così le mani libere. Ora dobbiamo sperare che a Lady Ashton, a mandato ormai esaurito, subentri rapidamente la nuova Lady Pesc, Federica Mogherini, anche nel ruolo di negoziatore europeo nel negoziato del 5+1. Per l’Italia sarebbe la possibilità di rientrare dalla finestra nelle trattative dopo esserne uscita malamente dalla porta.
Senza dimenticare un dettaglio di non poca importanza: nel 1978 l’Iran dello Shah produceva 5,5 milioni di barili al giorno di petrolio, nei 35 anni seguenti sotto il regime komeinista ne ha prodotti tra i 2,5 e 3,6 milioni di barili al giorno. Se Teheran vuole diventare la più dinamica economia del Medio Oriente non lo potrà fare con le centrifughe sull’arricchimento dell’uranio ma incrementando gli investimenti sulla produzione di petrolio e gas di cui deteniene le principali riserve al mondo. Tenendo conto che la rivoluzione dello shale gas americano non aspetterà molto prima di colpire dopo l’Opec e la Russia anche gli equilibri dei prezzi energetici in Medio Oriente. E allora sarebbe troppo tardi per far pace con l’Occidente e un’America sempre più orientata ad occuparsi im primo luogo di Asia e Pacifico.