Una disputa sul nome separa la piccola ex repubblica Jugoslava di Macedonia dall’ingresso nella Ue e nella Nato. Ad opporsi ai suoi sogni europei e filo-occidentali è un conflitto sull’uso del nome Macedonia da parte della Grecia che ne rivendica l’uso per la sua regione settentrionale di confine con capoluogo Salonicco. Atene teme che l’uso del nome Macedonia possa aprire a rivendicazioni territoriali sulla sua omonima regione.
In questi tempi di risorgenti nazionalismi e di riscoperte identitarie la questione del nome non va sottovalutata perché potenzialmente incendiaria in un’area già ampiamente instabile. Questa piccola nazione balcanica è forse sulla buona strada per unirsi alle due organizzazioni più ambite (per chi ne è escluso) dell’Occidente: la Ue e la Nato. Ma Atene si oppone.
Prima – dice il governo greco, che tra breve dovrà andare al voto e non vuole lasciare questo argomento in mano alla destra estrema di Alba Dorata – tutti devono essere d’accordo sul suo nome.
L’ex provincia jugoslava, allora nota come Repubblica socialista di Macedonia, adottò la versione abbreviata di Macedonia quando divenne indipendente nel 1991. Ma questo scatenò l‘ira dei greci che usarono l’arma “atomica” del veto per tenere fuori Scopje e i suoi due milioni di abitanti, per lo più poveri, sia da Nato che dalla Ue.
Ma tra le nevi di Davos sembra si sia provato a riaprire i colloqui per un’intesa anche per bloccare il ritorno di influenza nell’area della Russia di Putin. Dopo che il primo ministro greco Alexis Tsipras a capo di un governo di sinistra radicale e il suo omologo macedone, Zoran Zaev, si sono incontrati nei Grigioni In Svizzera, si è aperto uno spiraglio di ottimismo sul possibile compromesso su un nuovo nome prima del prossimo vertice della Nato, l’11 luglio.
Possibile? Ottimismo da alta quota? Forse.
Tra le possibilità sul tappeto ci sarebbero tre opzioni: “Nuova Macedonia”, “Alta Macedonia” o “Macedonia settentrionale”. Insomma qualcosa che differenzi le due regioni ma senza allontanarsi troppo dal nome conteso.
Nikola Dimitrov, ministro degli esteri della Repubblica di Macedonia ha auspicato una svolta per dare stabilità alla regione. Ma il leader del partito conservatore greco, Kiryakos Mitsotaki, in vantaggio nei sondaggi, dopo un colloquio con il premier Tsipras si è opposto fermamente all’intesa affermando che «non si può dividere la Grecia per mettere a Skopje di unificarsi». Il 4 febbraio è prevista una dimostrazione di massa a Salonicco di greci contrari all’intesa con Skopje. Anche l’influente Chiesa greco ortodossa ha manifestato tutta la sua contrarietà all’intesa con Skopje che dovrebbe continuare a usare il termine Fyrom, Former Yugoloslav Republic of Macedonia, l’acronimo inglese che le ha permesso di accedere all’Onu.
L’Europa è stata scossa dall’aumento del nazionalismo e anche i leader dell’UE sono preoccupati del rischio di instabilità politica nei Balcani soprattutto dopo l’uccisione in Kosovo del leader della minoranza serba, Oliver Ivanovic. Albania, Bosnia, Kosovo, Macedonia, Montenegro e Serbia sperano tutti di entrare nell’Ue ma hanno visto le loro opportunità di adesione affievolirsi negli ultimi anni.
L’Ue sta accentuando lo sforzo diplomatico per accelerare le iniziative per portare sei paesi dei Balcani occidentali nell’Ue, dopo anni di stop and go. «È ora di finire il lavoro del 1989», ha detto alla Reuters il commissario europeo Johannes Hahn, riferendosi all’espansione verso est dell’Ue dopo la caduta del muro di Berlino.
La Macedonia non è l’unico paese le cui speranze di aderire all’Unione europea sono bloccate da contrasti con i vicini. La Serbia (insieme alla Spagna preoccupata per la secessione catalana) non riconosce il Kosovo, e questo blocca l’ingresso per entrambi. In Bosnia ci sono sempre più frizioni tra l’ovest per lo più musulmano e l’est cristiano. Il Montenegro, che è in trattative per aderire all’UE, è in una difficile situazione di instabilità.
Il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, in un’intervista rilasciata durante una visita la scorsa settimana in Macedonia, si è detto ottimista sulla disputa con la Grecia sul nome del paese.
La Macedonia, che ha visto decine di migliaia di migranti di passaggio dalla Grecia diretti verso il Nord Europa nel 2015 presso il piccolo paese di confine di Idomeni, è considerato un importante alleato della Ue nell’intento di controllare i flussi migratori e contrastare le infiltrazioni terroristiche. Dopo che la Grecia ha bloccato la Macedonia dall’adesione alla Nato nel lontano 2008, le relazioni tra i due paesi si sono molto deteriorate.
Ora però, il vento sta cambiando sebbene il leader greco di Nea Dimoktratia, Kiriakos Mistotakis, sia contrario all’intesa. Dal 2015 c’è un nuovo governo al potere a Skopje e il primo ministro greco Tispras è preoccupato per i movimenti nazionalisti di estrema destra di Alba Dorata in Grecia in vista delle elezioni.
Il premier Zaev spera di trovare un accordo con il suo omologo Tsipras che risolvendo la questione macedone spera nella rielezione.
Certo Tsipras dovrà convincere anche Panos Kammenos, il partner di minoranza della coalizione di governo greco, che si oppone a un accordo e la via è tutta in salita. Ma con l’economia della Grecia in crescita e l’obiettivo di uscire dal regime di salvataggio e dalla vigilanza della troika in agosto, il tempo potrebbe essere maturo almeno per un tentativo. Atene vuole tornare ad avere un ruolo di primo piano nella regione dopo nove anni di crisi economica.
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