Come annunciato scattano le prime sanzioni volute da Donald Trump contro l’Iran degli Ayatollah dopo la decisione dell’amministrazione di ritirare l’America dall’accordo sul nucleare del 2015. La stretta – salvo clamorose sorprese – riguarderà il commercio di beni simbolo dell’economia iraniana, come l’oro, i tappeti persiani, i pistacchi. Ma ad essere colpiti saranno anche altre materie prime e il settore dell’auto. Sarà inoltre vietato a Teheran l’acquisto di dollari.
A questa prima ondata di misure, secondo i progetti della Casa Bianca, dovrebbe seguirne una seconda a partire dal 4 novembre, per centrare stavolta i bersagli più grossi: petrolio e banche. Il rischio di una escalation delle tensioni è dunque dietro
l’angolo. E non solo sull’asse Washington-Teheran, ma anche tra le due sponde dell’Atlantico, con l’Europa che finora è rimasta
fedele agli impegni presi nella storica intesa del 2015 firmata oltre che da Barack Obama, da Germania, Francia , Regno Unito.
Nel gruppo dei firmatari ci sono anche Russia e Cina che a loro volta continuano a ritenere valido l’accordo, considerandolo
l’unico strumento efficace per tenere le ambizioni nucleari della repubblica islamica sotto controllo.
Secondo gli esperti, comunque, l’impatto di questa prima tranche di sanzioni sull’economia iraniana sarà tutto sommato
limitato. L’obiettivo principale di Trump sembra essere piuttosto proprio quello di fare pressione sugli alleati europei, rendendo chiaro che la sua amministrazione e’ intenzionata a fare sul serio nel prendere di mira non solo Teheran ma anche tutti i Paesi, alleati e non, che continueranno a fare affari con l’Iran. Una minaccia che negli ultimi mesi -insieme alla guerra sui dazi su acciaio ealluminio e ai contrasti sulle spese della Nato – ha contribuito a ridurre le relazioni tra Usa e Vecchio Continente ai minimi da decenni. Rafforzando invece l’asse con Israele.
Ma la tattica che Trump avrebbe in mente e’ anche quella di alzare il tiro per arrivare poi a ipotizzare un dialogo con i vertici della Repubblica islamica, seguendo lo schema adottato con il regime della Corea del Nord. Non è un caso l’apertura
del tycoon che giorni fa, dopo averlo duramente attaccato su Twitter, a sorpresa durante la conferenza stampa con il premier italiano Conte a Washington, si e’ detto aperto a incontrare il presidente iraniano Hassan Rouhani, anche senza precondizioni.
Affermazioni che hanno costretto il capo della diplomazia Usa, Mike Pompeo, a correggere il tiro, spiegando che non potrà
esserci alcun dialogo finche’ l’Iran non dimostrerà di aver realmente abbandonato il programma nucleare e la sua politica
destabilizzante in Medio Oriente.
Intanto per contrastare il ritorno delle sanzioni Usa, e in particolare il divieto di acquisiree banconote in dollari, il
governo di Tehran ha messo a punto un pacchetto di misure di salvataggio della propria moneta, per frenarne il suo costante
declino. Il riyal infatti è ai minimi sul biglietto verde dall’inizio dell’anno. Con conseguenze negative sull’economia
iraniana: vedi l’aumento dei prezzi, che nelle ultime settimane ha causato numerose proteste e scontri in diverse città. Ma la
vera stangata per l’Iran arriverà il 4 novembre, quando senza novità di rilievo l’amministrazione Trump farà scattare le
sanzioni contro il settore energetico e petrolchimico. E contro il settore bancario. Una prospettiva che preoccupa anche i
mercati, che temono un’impennata senza precedenti nei prezzi del petrolio. Con l’Iran che e’ uno dei maggiori esportatori con due milioni di barili al giorno, di cui circa la meta’ in Asia e l’altra meta’ in Europa.