Il presidente francese Emmanuel Macron promise in un famoso discorso tenuto alla Sorbona di dare nuova forza al progetto europeo e in particolare alla moneta unica. Purtroppo era troppo ottimista. Il 14 dicembre scorso i leader dell’UE hanno firmato il via libera a una mini-riforma della zona euro che non è all’altezza delle aspettative di Macron, proposte frenate da un gruppo di paesi nordici “anseatici” guidati dall’Olanda e appoggiati nell’ombra dalla Germania, tutti contrari al bilancio dell’eurozona per “stabilizzare” paesi colpiti da shock asimmetrici. Un bilancio, anzi uno strumento di bilancio (“budgetary instrument for convergence and competitiveness for the euro” riporta lo statement ufficiale) utile solo per convergenza e per aumentare la competitività. Il chiodo fisso della Merkel che vede le riforme solo in chiave di miglioramento strutturale della competitività facendo finta di dimenticare che il paese che ha un mercato interno maggiore, la Germania appunto, è avvantaggiat in questa gara perché parte con un vantaggio sugli altri.
L’obiettivo principale del bilancio dell’eurozona sarà quello di contribuire a realizzare riforme politicamente impopolari e a realizzare una maggiore convergenza economica tra i 19 paesi che utilizzano l’euro. La Germania ha rifiutato di far decollare il budget di “stabilizzazione” voluto fortemente dalla Francia, in cui i fondi avrebbero potuto aiutare un paese colpito da uno shock economico inaspettato (come ad esempio l’Irlanda nel caso di una Brexit caotica). Nonostante l’esito modesto la Francia e il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker hanno salutato la svolta come una vittoria simbolica e l’inizio di un cammino che potrebbe portare a maggiori condivisioni in futuro.
Un Fondo monetario europeo?
Ma le riforme da seguire attentamente soprattutto da parte italiana sono quelle volute per l’ESM. Il Consiglio ha rafforzato in modo ambiguo il potere del Meccanismo europeo di stabilità (ESM), il “pompiere” della zona euro, creato nel 2012 al culmine della crisi del debito sovrano scoppiato nel 2010 in Grecia.
L’EMS o Fondo salva-stati è governato dai 19 ministri delle finanze dell’eurozona – noto come Eurogruppo – e usa denaro dei paesi membri per raccogliere ulteriori fondi sui mercati che concede poi in prestiti di salvataggio ai paesi colpiti dalla crisi in cambio di riforme attentamente esaminate nella loro implementazione. Un meccanismo usato in Grecia, Cipro, Portogallo, Irlanda e Spagna.
L’ex ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble un falco dell’austerità e dei conti pubblici in pareggio, era desideroso da tempo di far assumere nuove responsabilità all’ESM, considerato meno politicizzato della Commissione europea e più incline ai desiderata di Berlino. Soprattutto i commissari devono essere sottoposti alla valutazione del nuovo Parlamento europeo che uscirà dalla urne il prossimo maggio 2019 mentre l’ESM è un organismo più tecnico e in mano ai paesi membri (sistema intergovernamentale). L’ESM con sede in Lussemburgo ha ricevuto maggiori poteri per valutare la situazione economica e finanziaria dei paesi dell’area dell’euro. Questo potenzialmente lo mette in rotta di collisione con la Commissione europea di Juncker, che fa lo stesso lavoro a Bruxelles. Alla fine, la Commissione continuerà a tenere le redini nel monitoraggio annuale dei bilanci di spesa dei paesi membri, ma avrà “incontri regolari” con l’ESM. Insomma un pasticcio annunciato.
Ma c’è di più: c’è un nuovo ruolo dell’ESM trasformato in paracadute del Fondo di risoluzione bancaria. «Abbiamo chiesto all’Eurogruppo di presentare i necessari emendamenti al trattato dell’Esm entro giugno”, ha detto a tal proposito il presidente del Consiglio Donald Tusk. Una mossa voluta da tempo dalla Germania che quando si tratta di problemi bancari diventa improvvisamente federalista e pronta a chiedere l’aiuto di tutti come fece nel caso del salvataggio greco dove erano ampiamente coinvolte le banche tedesche, francesi e olandesi ma il “conto” venne suddiviso con tutti i paesi membri indipendentemente dallo loro esposizione bancaria verso Atene.
L’unione bancaria può attendere