La Turchia chiede alla Cina di chiudere i centri di detenzione della minoranza musulmana e turcofona degli Uighuri

E’ uno scontro senza precedenti, scatenato dalla morte in detenzione di Abdurehim Heyit, un famoso musicista e poeta uighuro,  tra l’erede di uno dei maggiori imperi della storia, quello ottomano, e l’impero di Mezzo cioè quello cinese. Con l’Occidente ai margini della sfida tra Turchia musulmana e le Cina comunista che non tollera minoranze uighure islamiche e di lingua turca che si trasformano in spine nel fianco di Pechino.

La Turchia di Recep Tayyip Erdogan ha definito “una vergogna per l’umanità” il trattamento riservato dalla Cina agli Uighuri, la minoranza musulmana di lingua turcofona. “La politica di assimilazione sistematica delle autorità cinesi nei confronti dei turchi uiguri è una vergogna per l’umanità”, ha dichiarato senza mezzi termini in una nota Hami Aksoy, portavoce del ministero degli Affari Esteri di Ankara.“Non è più un segreto che oltre un milione di turchi uiguri che incorrono in arresti arbitrari sono sottoposti a torture e al lavaggio del cervello politico nei campi di internamento e nelle prigioni”, ha detto Aksoy. La risposta della Turchia segue la morte del poeta e musicista uiguri Abdurehim Heyit che era trattenuto in custodia.

Il programma di de-radicalizzazione degli uiguri

La dirigenza politica di Pechino sotto la guida di Xi Jinping affronta da tempo, senza scomporsi troppo, la crescente pressione internazionale sul suo cosiddetto programma di “de-radicalizzazione” nella sua provincia occidentale dello Xinjiang, forte del principio di non ingerenza nei fatti interni di un paese indipendente e membro permanenete del Consiglio di sicurezza dell’Onu con diritto di veto. Ankara invece ha invitato la comunità internazionale e il segretario generale delle Nazioni Unite, il socialista portoghese Antonio Guterres, a prendere provvedimenti.

La Cina afferma invece di proteggere la religione e la cultura delle sue minoranze etniche e che sono necessarie misure di sicurezza nello Xinjiang per contrastare i gruppi che incitano alla violenza in quel luogo.

Lo Xinjiang, una vasta regione dove gli uiguri sono maggioritari, è stata teatro di violente tensioni interetniche e di attentati prima di essere posta negli ultimi anni sotto strettissima vigilanza di polizia da parte delle autorità di Pechino.

Sino a un milione di musulmani uighuri sarebbero tenuti nei centri di rieducazione politica, in realtà campi di internamento, secondo diverse Organizzazioni non governative per i diritti umani. Ma nessun grande Paese musulmano fino ad ora aveva mai pensato di denunciare apertamente queste politiche di restrizioni dei diritti civili sfidando l’ira e le possibili ritorsioni di Pechino, uno dei principali partner commerciali della Turchia.

La mossa di Erdogan in vista del voto amministrativo

Il presidente Erdogan in difficoltà in vista delle elezioni amministrative di marzo a causa di un’inflazione galoppante che ha fatto aumentare i prezzi dei generi alimentari e soprattutto quelli di cipolle, peperoni e melanzane, alimenti base della cucina turca, provocando forte risentimento tra la gente comune in Turchia, ha forse deciso di brandire la difesa degli uighuri nel tentativo di vestire i panni del difensore del’Islam come un novello sultano del Bosforo e distrarre l’attenzione dai gravi problemi economici interni. Una scommessa quella di Erdogan densa di incognite per le possibili gravi ripercussion internazionali nel campo della politica estera.

La reazione di Pechino

Pechino ha intensificato il giro di vite contro gli Uighuri che è stato messo in atto dopo una sanguinosa rivolta del 2009. Masse di Uighuri sono fuggiti e molti si sono rifugiati in Turchia, dove la lingua e la cultura sono simili a quella dello Xinjiang.
La reazione di Pechino non si è fatta attendere. L’ambasciata cinese ad Ankara ha definito i commenti di Aksoy “assolutamente
inaccettabili” e ha difeso le sue politiche a Xinjiang, terra degli Uighuri.