Dieci anni fa la Grecia chiedeva aiuto alla Unione europea. Bruxelles non era preparata ad affrontare la crisi dei debiti sovrani provocata a sua volta dalla crisi dei subprime negli Stati Uniti. La Ue che all’epoca non aveva né l’EFSF né il Mes (Meccanismo di stabilità) a sua volta cercava nell’opera di salvataggio il coinvolgimento del Fondo monetario internazionale che aveva l’esperienza necessaria per operazioni del genere. Era il 23 aprile del 2010, e il premier socialista dell’epoca, George Papandreu, figlio del mitico Andreas Papandreou, annunciava nell’ora più buia l’inizio di una nuova Odissea per la Grecia che dopo un decennio non è ancora finita. Successivamente Papandreou venne sostiuito da un premier tecnico ed ex vice presidente della Bce, Lukas Papademos, a sua volta rimpiazzato dal premier conservatore Antonis Samaras che dovette lasciare il passo nel 2015 al leader di sinistra radicale Alexis Tsipras che nelle precedenti consultazioni aveva solo il 4% dei consensi..
La scelta più dura, ammise Alexis Tsipras nel corso di un’intervista a un ristretto numero di giornalisti tra cui chi scrive, concessa presso la sede del governo Maximos Mansion nel 2018 ad Atene, cioè quella di restare nell’euro e accettare il Memorandum della troika, “è stata fatta nell’agosto 2015”. Il resto è venuto di conseguenza, sebbene i greci hanno sentito per lungo tempo sulla pelle i tagli dell’austerità. Nella lunga cura di austerità il Paese ha visto ridursi il Pil del 25%. Atene, che ha subìto 13 manovre di tagli alle pensioni e numerosi aumenti delle imposte sul reddito, è stata sull’orlo di uscire dall’euro dopo il referendum del luglio 2015 che aveva invitato il governo a rifiutare l’accordo con i creditori. Ma Tsipras disattese l’esito della consultazione popolare, licenziò il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis e restò nel club dell’eurozona accettando le dure condizionalità legate al Mes.
Poi Tsipras portò il paese al 18 agosto 2018, giorno in cui scadeva il terzo piano di assistenza da 85 miliardi di euro, dopo i primi due da 130 e 110 miliardi per un totale di 325 miliardi di euro. Quel giorno sei anni dopo l’inizio della crisi Atene potè sostenersi con le sue gambe sul mercato dei capitali internazionali.
Più recentemente Alexis Tsipras ha dovuto cedere il passo l’anno scorso al leader conservatore Kyriakos Mitsotakis dopo l’esito delle consultazioni di un voto anticipato. La situazione non era più drammatica anzi si cominciava a vedere la luce in fondo al tunnel. Atene è ripartita con le privatizzazioni e ha fatto riforme impopolari come rendere indipendente dal ministro delle Finanze il settore della riscossione. L’Agenzia delle Entrate ha recuperato 5 milioni di euro di vecchi debiti erariali più del previsto. Non solo. Atene ha tagliato dal 2009-15 il 26% del numero dei dipendenti pubblici e il costo dei salari è sceso del 38%. Tutte cifre certificate dalla Commissione europea. Fonti della Commissione Ue avevano sottolineato che in sei mesi sono stati cambiati il 50% dei membri del board delle 4 maggiori banche del Paese con inserimenti di professionalità straniere che hanno contribuito a rompere quei legami clientelari e di collusioni cheavevano portato gli Npl al 45% del totale sui crediti. Tsipras infine ha lasciato un tesorettodi 20 miliardi di euro come buffer per momenti difficili. La metà pervenuta da nuovi crediti Esm, gli altri dai mercati. Tsipras alla fine è finito come l’ex cancelliere tedesco, Gerhard Schroeder, che fece le riforme impopolari e perse le elezioni a favore di Angela Merkel.
Oggi la pandemia del virus Covid 19 ha cambiato le carte ancora una volta sotto il Partenone. In questi giorni l‘agenzia Fitch ha confermato il rating BB della Grecia e ha rivisto al ribasso l’outlook a ‘stabile’ da ‘positivo’. La revisione riflette il significativo impatto del coronavirus sull’attività economica, con un calo del pil previsto quest’anno dell’8,1% mentre il Fmi prevede un calo ancora più duro pari al 10%. Itaca dunque resta ancora lontana.