Meno export e più consumi interni nel futuro di Berlino?

Il dato sull’export tedesco arriva 75 anni dopo quell’8 maggio del 1945 quando finì la Seconda Guerra mondiale con la resa incondizionata del Terzo Reich. Scherzi della storia, ma dopo 75 anni è tempo di riflessioni sulla fine di un modello “export oriented” che fece la fortuna, grazie al piano Mashall, delle Repubblica federale tedesca. Un modello imitato anche da Italia e Giappone ma che oggi sembra essere arrivato al capolinea anticipatamente causa Covid 19, politiche commerciali americane più isolazioniste, fine dell’enfasi sulle catene di fornitura globali (world supplay chain) e dell’off shore o delocalizzazioni selvagge. Il Covid 19 ha disgregato (disrupt) per sempre questa trionfante globalizzazione.  

Ma andiamo con ordine. Le esportazioni in Germania sono crollate a marzo dell’11,8%, il dato peggiore a livello mensile dalla riunificazione del 1990. Un dato reso noto dall’ufficio federale di statistica Destatis che non ha sorpreso gli analisti. L’effetto del coronavirus si è fatto sentire anche sulle importazioni, diminuite del 5,1% rispetto a febbraio. Il surplus, il mitico surplus commerciale, scende a 12,8 miliardi di euro a marzo, contro i 21,4 miliardi di febbraio. Dato largamente sotto le attese. Non solo. In Germania si parla di dare incentivi per rilanciare il mercato delle automobili. Ma questo dato significa che per i prossimi mesi l’economia tedesca dovrebbe puntare sui consumi interni e gli investimenti pubblici più che sull’export. Un cambio di paradigma sempre auspicato ma mai realizzato dai quattro governi a guida Merkel che si sono succeduti dopo la sconfitta del cancelliere socialdemocrtaico Gerhard Schroeder che varò le riforme impolari chiamate Harzt IV dal nome del responsabile delle relazioni sindacali alla Volkwagen e poi perse malamente le elezioni nel 2005.

Oggi lo scenario è simile al quel 2005, quando la Germania era considerata il malato d’Europa e prima che Schroeder facesse passare con l’aiuto dei Verdi la cosiddetta Agenda 2010 nonostante l’opposizione della sinistra della Spd e dei sindacati. Oggi il governo tedesco prevede che l’economia, che dipende dalle esportazioni, si ridurrà del 6,3%, nonostante un massiccio pacchetto di aiuti di 750 miliardi di euro per attutire l’impatto della pandemia. Gli economisti si aspettano che la ripresa sarà lenta e che il ritmo dipenderà in larga misura dalla velocità con cui i vicini europei e altri partner commerciali tedeschi come la Cina e gli Stati Uniti emergeranno dalla crisi. La Germania aveva messo a segno il suo undicesimo anno consecutivo di crescita prima dello scoppio del Covid 19.

Ora però il paradigma tradizionale deve cambiare per continuare a essere la locomotiva dell’Eurozona. I produttori tedeschi orientati all’esportazione avevavo già dovuto fronteggiare una debole domanda innescata dalle guerre commerciali che hanno preceduto la crisi del coronavirus, lasciando l’economia a fare affidamento sul consumo e sulla spesa pubblica per la crescita. Ma il parziale lockdown e le misure di distanziamento sociale introdotte a metà marzo hanno ridotto le aspettative di spesa delle famiglie, anche se la Germania inizia a riaprire gradualmente la sua economia. La scommessa è quindi puntare su mercato interno e rilancio degli investimenti pubblici in attesa che i mercati globali superino il momento difficile. Una scomessa difficile e dagli esiti incerti.

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