Come saranno i rapporti tra la nuova amministrazione americana di Joe Biden e l’Ue a 27 paesi dopo il lungo e travagliato addio di Londra? Sono in molti i commentatori a credere che dopo la tempestosa parentesi Trump i rapporti transatlantici torneranno su binari tradizionali e di maggior collaborazione e rispetto reciproco. Vero nei toni, ma meno probabile nei contenuti. C’è più di una zeppa all’orizzonte tra Washington e Bruxelles e non sembrano essere elementi di poco conto: primi fra tutti i rapporti con la Cina e la web tax francese e italiana applicata ai giganti della Silicon Valley californiana.
Ci riferiamo innanzitutto al fatto che con Joe Biden alla Casa bianca, il confronto con la Cina di Xi Jinping resterà il punto focale della politica estera a stelle e strisce. «La guerra commerciale tra Usa e Cina è una seconda guerra fredda – ha spiegato Niall Ferguson, storico alla Stanford University a margine del Forum Ambrosetti a Cernobbio – dove gli Stati Uniti cercheranno di contenere Pechino nello sviluppo tecnologico per cercare di impedire ai cinesi di Huawei di dominare il settore delle telecomunicazioni del G5 e di impedire l’espandersi dell’influenza cinese nel mar Cinese e nello stretto di Taiwan e dell’iniziativa One Road, One Belt. Il conflitto tra Usa e Cina non è solo commerciale ma anche tecnologico e politico e ideologico e ci saranno paesi non allineati tra i due blocchi che cercheranno di ottenere i benefici dai due fronti”.
In altri termini la forza manifatturiera e finanziaria di Pechino, i successi tecnologici in settori, come le tecnologie digitali e l’intelligenza artificiale, la determinazione con cui il presidente Xi Jinping punta alla superiorità militare e all’espansione nei mari, sono tutti argomenti che confermano, nell’élite di Washington che si occupa di politica estera – come lo stesso Joe Biden che nel 2001 ha assunto il prestigioso incarico di Presidente della Commissione Esteri del Senato degli Stati Uniti d’America ricoprendo lo stesso ruolo per ben tre volte – la necessità d’impedire al governo di Pechino la conquista del primato globale.
E l’Europa che fa? La Cancelliera tedesca Angela Merkel, in stretta sintonia con l’inquilino dell’Eliseo, il presidente francese Emmanuel Macron, è riuscita a far approvare a tambur battente negli ultimi giorni della sua presidenza di turno dell’Ue, un accordo sugli investimenti di cui si discuteva da sette anni senza molti progressi teso a garantire alla Cina un ancor più facile accesso ai mercati europei, pur se condizionato ad alcune concessioni in materia di rispetto dei diritti umani e ambientali da parte di Pechino. L’improvvisa accelerazione dei negoziati da parte della presidenza di turno tedesca dell’Ue ha colto di sorpresa i responsabili della amministrazione Biden, al punto che il futuro consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, ha invitato gli alleati europei a prendere tempo, così da poter discutere con Washington una posizione comune a tutto il blocco delle democrazie liberali dell’Occidente.
Troppo tardi? La sua richiesta avrebbe trovato accoglienza da parte dei governi di Polonia e Italia, ma sarebbe stata ignorata da Berlino e Parigi. Una mossa, che Biden e i suoi collaboratori non hanno gradito, e che potrebbe creare diffidenza nei confronti dell’asse franco-tedesco nella prossima amministrazione Usa, sin dai suoi primi giorni.
Aldilà del previsto cambiamento di toni e modi, non c’è motivo di credere che la diplomazia Usa cambierà sostanzialmente la sua politica europea. Nel periodo compreso tra il prossimo settembre ed il maggio 2022, la Germania sceglierà un nuovo leader e la Francia andrà al voto per rinnovare la carica di presidente. E’ possibile credere che l’amministrazione Usa cercherà di favorire equilibri affinché nei due più importanti Paesi dell’Unione s’insedino governi più attenti alla lealtà atlantica.
Web tax italiana e francese
Infine c’è la web tax di Francia e Italia che fanno da apripista in attesa di un accordo in sede Ocse, ma che Washington vede come il fumo negli occhi come ha avuto modo di esplicitare attraverso il suo segretario al Tesoro Steven Munchin nell’ultimo forum del Wef a Davos. Per ora c’è una tregua tra Usa e Francia nelle schermaglie sulla digital tax ma questo non ha impedito all’Italia di trovarsi sotto i riflettori come “investigata” per la sua web tax. Gli Usa stanno difendendo gli interessi fiscali delle loro società Hi Tech, come dimostra l’investigazione contro Italia, e altri nove paesi. Vero è che in attesa della nuova amministrazione gli Usa hanno deciso di sospendere i dazi contro la Francia (1,2 miliardi) a causa della web tax transalpina sui Gafa (Google, Amazon, Facebook, Apple). Ma a Washington non piace nemmeno la web tax italiana perché non rispetterebbe alcuni dei principi cardine della tassazione internazionale transfrontalieri come l’imponibilità sul fatturato (e non sui profitti societari). Tutti elementi che fanno prevedere una dialettica tra le due sponde dell’Atlantico a dispetto del cambio di amministrazione.